L’anatomia e il suo studio


La conoscenza del corpo umano, oggi considerata la base delle medicina, è progredita molto lentamente: dalla più remota antichità, infatti, il corpo dei morti era considerato inviolabile, non poteva essere sezionato e dunque studiato. I primi a praticare questa tecnica furono i Greci, mentre i Romani la vietarono, tanto che persino Galeno (129 - 201 d.C.) le cui teorie erano destinate a dominare per 14 secoli, si basava sull’anatomia delle scimmie, mentre il medico Cofone della Scuola salernitana su quella del maiale, con  numerose e gravi conseguenze.
Agli inizi del Trecento Mondino de’ Leuzzi (1270-1336) portò i cadaveri in aula per mostrare la struttura del corpo umano ed il suo trattato, l’ Anathomia Mundini (1316) divenne il testo base di questi studi fino a tutto il Cinquecento.
E’ però soprattutto grazie alla diffusione dell’illustrazione anatomica che nel corso del Rinascimento la ricerca medico-scientifica progredì. Leonardo (1452 – 1519) anatomista geniale e grande disegnatore fu fra i primi a praticare l’attività settoria, riproducendo nei suoi disegni il cervello, il sistema vascolare e i principali organi del corpo umano. In seguito Girolamo Fabrizi d’Acquapendente (1533-1619) corredò i suoi testi con tavole illustrative, consolidando la collaborazione tra medici, anatomisti e artisti. Furono soprattutto questi ultimi che si concentrarono sulla riproduzione del corpo umano, descrivendone in modo accurato i canoni morfologico-costituzionali.
La grande svolta della medicina nel Cinque e Seicento sta nel processo dissacratorio dell’anatomia che ribalta la cognizione del corpo: alle teorie degli “umori” e dei “temperamenti” si sostituiscono i primi studi sulla circolazione del sangue e sul funzionamento degli organi. In nome del bisogno di conoscere direttamente il corpo umano, inizia e si diffonde la pratica della dissezione dei cadaveri in aula e lo studio dei vari organi del corpo umano, del loro funzionamento, grazie anche all’opera di Andrea Vesalio (1514-1564) che nel suo trattato De humani corporis fabrica (1543) inserì dettagliate e numerose illustrazioni. Suo principale merito è di aver messo in discussione una per una le teorie anatomiche di Galeno, fino ad allora considerate indiscutibili. Con la principale  critica rivolta al medico greco - quella di aver studiato l’anatomia basandosi sulla dissezione degli animali invece che dell’uomo – Vesalio affermava l’esigenza dell’esperienza diretta. L’anatomia era però destinata a rimanere a livello pratico nelle mani di chirurghi e barbieri, a fronte dell’erudizione dei medici: teoria e pratica procedevano dunque lungo percorsi separati.
Nel 1566 -  dopo l’introduzione nel 1539 dell’insegnamento di anatomia abbinato a quello di chirurgia nell’Università di Roma, dove insegnò Bartolomeo Eustachio -  Pio V sanciva la libertà di esercizio anatomico sui cadaveri di ebrei ed infedeli giustiziati.  Nel corso dei secoli XVII e XVIII la documentazione relativa allo studio dell’anatomia e alla preparazione specifica in questo campo si fa via via più consistente, dimostrando un maggiore interesse ed una maggiore libertà di esercizio di questa specializzazione.
Palestre per lo studio pratico dell’anatomia sono gli ospedali, luoghi deputati alla cura dei malati, all’esercizio della chirurgia e al contempo laboratori didattici e di ricerca. Le cronache ci informano che in alcuni ospedali a Roma - il S. Spirito, la Consolazione, il S. Giacomo - per l’istruzione dei praticanti sono apprestati “gabinetti anatomici” dove fanno “accademia” i primari ospedalieri.
Il maggiore nosocomio romano, il S. Spirito, è dotato nel 1742 per volontà di Benedetto XIV di un teatro anatomico (la sala settoria, ove sono incisi i cadaveri per le dimostrazioni pratiche) e dell’annesso museo, ove i reperti anatomici e anatomo-patologici delle dissezioni e  della clinica chirurgica ed ostetrica sono conservati - preparati a secco o sotto spirito - insieme a strumenti chirurgici, “macchine” sanitarie, modelli e riproduzioni eseguiti in vari materiali, fra cui, fondamentale sussidio alla didattica, le cere anatomiche.

 

ASC, Biblioteca Romana: Stragr. 757/I-II

Gabinetto anatomico nell’Arciospedale di S. Spirito. Tavola incisa in rame. Da: P. CACCHIATELLI G. CLETER, “Le Scienze e le arti sotto il pontificato di Pio IX”, Roma, Tip. Delle Belle Arti [1860-1869].

 

L’uso di cere anatomiche fu uno dei maggiori strumenti di diffusione delle conoscenze sull’anatomia del corpo umano. Esse furono in primo luogo un mezzo visuale estremamente efficace - data la duttilità e la cromaticità del materiale impiegato, che consentiva di raggiungere un alto grado di perfezione nella riproduzione dei particolari - per insegnare l'anatomia a quegli operatori delle “arti salutari”, i chirurghi, i litotomi, le ostetriche... , che si formavano nelle botteghe e nel praticantato, non nelle accademie o nelle università. I cerusichi, soprattutto, che praticavano operazioni di bassa chirurgia e nella maggior parte dei casi erano barbieri, non avevano un’istruzione classica e nessun accesso alle opere scientifiche: lo studio dei trattati di anatomia non era patrimonio loro, ma dei medici dotti, che conoscevano il latino e che avevano accesso all’università.
Un indirizzo più dichiaratamente scientifico alla produzione della ceroplastica anatomica - come sussidio alla didattica scientifica nelle università e negli ospedali - fu impresso a Bologna, ove Ercole Lulli (1702 – 1766) fu incaricato nel 1742 da Benedetto XIV di allestire una collezione di preparati in cera per il Gabinetto di anatomia dell’Università. Solo verso la fine del ‘700 il più attivo  laboratorio di ceroplastica non fu più a Bologna, ma a Firenze. Qui nel 1771 Felice Fontana – uno dei maggiori scienziati del XVIII sec., anatomista, zoologo, fisico e chimico - allestì su incarico di Pietro Leopoldo di Lorena il  laboratorio che avrebbe fornito ben 486 modelli in cera alla “Specola”, il  Real Gabinetto di Fisica e Storia Naturale inaugurato dal principe illuminato nel 1775. Si trattava di riproduzioni di grande attendibilità scientifica, alla cui realizzazione concorsero  la bravura dei dissettori (Bonicoli) e il gusto artistico e l’abilità tecnica dei modellatori (Susini): dell'organo in esame si faceva un calco con il gesso e prima dell'indurimento lo si apriva in due con una cordicella, quindi il ceroplasta lo riempiva di cera (sistema a cera persa) poi la cera veniva colorata, infine la mano dello scultore rifiniva il modello.
A Roma fu  il Museo anatomico del S. Spirito a divenire famoso per la  stupefacente collezione  di cere anatomiche donata dal cardinal de Zelada. Al museo – da poco arricchito di collezioni di preparati anatomici e strumenti chirurgici per  munificenza di due mecenati inglesi, il duca di Gloucester, fratello di re Giorgio III e  Roberto Adair, primo chirurgo del sovrano -  il segretario di Stato di Pio VI donò nel 1790 la collezione fatta eseguire a Bologna, sotto la direzione di Carlo Mondini, celebre anatonomico di quella università, al ceroplasta Giovanni Battista Manfredini. Si tratta di uno “studio ostetrico” di 36 preparazioni eseguite nel 1779 per l’insegnamento dell’ostetricia (al S. Spirito era stata istituita nel 1754 la prima scuola  di questa disciplina); cui si aggiunsero una serie di “tronchi anatomici”, con rispettive “tavole di corteggio”: plastici generali del corpo umano con i corrispondenti dettagli, ultimati nel 1792.
Dopo la cessione dei materiali del museo all’Università nel 1870  e  la distruzione del “braccio nuovo” di Benedetto XIV, già sede del teatro e museo anatomico del S. Spurito, per i lavori di sistemazione del Lungotevere, la straordinaria collezione di cere è tornata a far mostra di sé nel “Museo Storico Nazionale dell’Arte Sanitaria” allestito nel 1933. Con la raccolta di cere anatomiche del cardinal de Zelada – particolarmente suggestivi sono gli “studi ostetrici” per l’esattezza e l’efficacia “iperrealistica” delle rappresentazioni anatomo-ostetriche delle varie presentazioni del feto al parto – nella struttura espositiva collocata nell’ala secentesca dell’Ospedale Santo Spirito in Sassia (il cosiddetto “Ospedaletto”) oggi visitabile sotto la guida della Soprintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, rivive in parte l’antico museo ospedaliero d’anatomia.


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