1.
L'INSEGNAMENTO DELLA MEDICINA
ALLA SAPIENZA
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La formazione dei medici in epoca medievale e moderna
si svolgeva presso numerose e diverse Università. Sin dal XIV secolo
esisteva presso lo Studium Urbis, l’Università
fondata a Roma nel 1303 da Bonifacio VIII – dal sec. XVI comunemente
chiamata “La Sapienza” - una facoltà di medicina dove i medici si
specializzavano soprattutto dal punto di vista teorico, ma lo Studium,
che attraversò diverse difficoltà, venne chiuso dopo il 1370. Eugenio
IV nel riattivarlo nel 1431, assegnò all’università romana anche cospicue
rendite che consentirono l’acquisto di alcune case presso S. Eustachio.
Sotto il pontificato di Leone X (1513 – 1521) l’Università
ebbe nuova vita, parallela alla ripresa economica e sociale della
città (doc.1).
Lo studio della medicina si andava progressivamente modificando. Il
concetto stesso di malattia cambiava. L’ideologia cristiana stabiliva
una diretta connessione tra colpa e male fisico. Questo teorema veniva
sostituito dalla concezione greca che identificava la malattia con
una rottura dell’armonia fisica che la scienza poteva ripristinare
e guarire. Tuttavia il rapporto con il cadavere, la necessità di
conoscerlo nella sua anatomia rimaneva oggetto di dibattiti ed in
parte di superstizioni che vietavano la possibilità di avvicinarsi
o toccare, anche solo per motivi di studio il corpo dei morti. L’interesse
però suscitato dall’anatomia appariva quasi inarrestabile, tanto che
l’insegnamento, come vedremo, entrò progressivamente nelle università.
A fronte di questo aspetto anche l’ostetricia, l’oculistica ed in
generale l’igiene, come base della medicina, fanno alcuni passi in
avanti. Mentre Deodato da Cuneo si pone ancora teologicamente il problema
del battesimo dei bambini non nati, ovvero dei feti abortiti e nati
morti, e mentre il cesareo miete vittime con la setticemia che ne
consegue, si studiano utensili che consentano, per esempio attraverso
l’inserimento nell’utero della donna di acqua benedetta, di battezzare
i bambini che non riescono a superare le fasi del parto. Religione
e scienza continuano dunque a confondersi, grazie anche all’intervento
di teologi oltre che di medici che contribuiscono a rallentare la
diffusione delle conoscenze mediche.
Uno dei limiti della professione medica, che aveva un forte impianto
teorico e poco pratico, era il rapporto stesso con il malato che
non veniva seguito nel decorso della malattia,
ma soprattutto a livello diagnostico. Una volta definita la diagnosi
il paziente era infatti lasciato nelle mani di speziali, chirurghi
e barbieri, secondo le necessità. Prima dell’Illuminismo infatti i
medici, che si laureavano in filosofia e medicina, si limitavano alle
prime fasi di identificazione delle malattie, analizzavano per colore
e sapore l’urina conservata nelle matule (ampolle) tastavano
il polso, visionavano il colore e la consistenza del sangue, senza
toccare il malato se non con grandi teli e guanti di protezione. Il
malato era poi medicato, curato, subiva cicatrizzazioni, incisioni
o altro da parte dei chirurghi. A questi si affiancavano i barbieri
che si limitavano in genere a salassi, clisteri e primi interventi
con strumenti detti lancetti o coppette. Solo nel Settecento
i chirurghi ottennero dignità pari a quella del medico e cominciarono
a frequentare corsi e lezioni universitarie.
Alla facoltà di medicina di Roma, che versava nel XV secolo in un
profondo stato di crisi, Leone X diede nuovo impulso, aggiungendo
agli insegnamenti di medicina pratica e di medicina teorica
che allora costituivano la facoltà medica dello Studium Urbis,
una nuova cattedra: “lettura dei semplici medicinali”, ovvero la prima
cattedra di botanica in Italia. Le erbe medicinali venivano allora
coltivate e prodotte in piccoli giardini, detti appunto “giardini
dei semplici”. Su questo modello, molto diffuso nel Rinascimento,
il pontefice volle costruire in Vaticano un hortus dei semplici
appunto, dove il lettore – il professore di botanica - potesse
prelevare le piante medicinali e poi far lezione pratica agli allievi,
mediante la cosiddetta ostensione. Nel 1539 con Paolo III,
che inserì l’insegnamento specifico della chirurgia e dell’anatomia,
la professione medica e la sua formazione presso l’università romana
ebbero un ulteriore momento di crescita. Anche la fama dell’Università
crebbe progressivamente e numerosi quanto famosi medici vi ottennero
una cattedra. Con Giulio III poi nel 1553 il Collegio medico ottenne
la facoltà di conferire lauree, in breve, lo strumento per controllare
l’esercizio della professione nella città, poiché ancora nel 1562
Pio IV era costretto ad intervenire con una serie di norme che limitassero
l’abuso della professione da parte di chi non possedeva la laurea.
I progressi della professione medica andavano di pari passo con la
maggior articolazione interna e con l’aumento di notorietà della facoltà
romana che, grazie a Gregorio XIII, fondatore del museo vaticano di
storia naturale, diede impulso ai lavori
per la fabbrica universitaria affidati all’architetto Giacomo della
Porta: la costruzione dell’edificio sarebbe
progredita anche nel corso del pontificato del suo successore, Sisto
V (1585 – 1590) (doc.7)
che l’arricchì di un teatro anatomico.
Alessandro VII (1655-67) aggiunse una grande Biblioteca, detta appunto
“Alessandrina”, nel 1655 ripristinò l’orto dei
semplici sistemandolo al Gianicolo nell’area prospiciente il fontanone
dell’Acqua Paola (doc.2)
e ordinò l’ampliamento del S. Spirito, uno dei più grandi ospedali
romani. Clemente X con il suo motu proprio del 20 maggio 1673
volle inserire l’obbligo di un tirocinio pratico di tre anni per i
medici romani e di cinque per il laureati in altre università dello
Stato pontificio per ottenere la licenza di libero esercizio professionale:
l’iscrizione alla matricola romana. A questo scopo, dopo la laurea
e il tirocinio, si doveva sostenere un “esame
di abilitazione” presso il Collegio medico (doc.6).
Nel corso del Seicento il Collegio medico della Sapienza ha acquistato
rilevanza istituzionale e una solida organizzazione: con gli statuti
emanati nel 1642, confermati e ampliati nel 1676, che rimarranno
in vigore per tutto il secolo successivo. E’ un organismo che non
riveste funzioni di rappresentanza professionale, ma di controllo
di tutti gli affari riguardanti l’esercizio della medicina, sia da
parte dei medici, che delle altre figure che si occupano comunque
della salute pubblica (speziali, chirurghi, cavadenti, levatrici...)
nei confronti dei quali esercita funzioni di tribunale, infliggendo
multe e sanzioni a quanti commettano abusi e delitti nell’esercizio
della professione. I medici collegiati, in un numero variabile
da dieci a venti – sono cooptati nel collegio professori di chiara
fama e probità di costumi – restano in carica a vita, eleggendo e
periodicamente rinnovando nel proprio seno la carica di protomedicus.
Il Collegio ha all’interno dell’università il compito di conferire
le lauree e i gradi di licenza.
Secondo le procedure codificate negli statuti del Collegio medico
del 1676, dopo un corso di studi “almeno biennali”, ma normalmente
della durata di tre anni, l’aspirante medico poteva essere “decorato”
delle insegne dottorali. Era possibile conferire la laurea in “Medicina
e Filosofia” e quella in “Chirurgia”. La “discussione della tesi”
per la laurea in medicina e filosofia prevedeva due dissertazioni:
l’una su un passo di Ippocrate, l’altra sulla “Fisica” di Aristotele;
seguiva una disputa sugli argomenti ; quindi era proposto al candidato
un caso di malattia. La laurea in sola chirurgia prevedeva dissertazioni
su argomenti specifici di Ippocrate e Galeno. L’esame per l’iscrizione
alla matricola dei medici si svolgeva davanti ad una commissione formata
dal protomedico e quattro esaminatori; il candidato doveva rispondere
per iscritto a quattro quesiti: un caso particolare, una questione
relativa alle febbri, un caso di malattia di donne o bambini, proprietà
dei farmaci. Il rilascio della licenza d’esercizio a quanti praticavano
arti sanitarie controllate dal Collegio, prevedeva per i chirurghi
due livelli: la patente in Chirurgia de gravibus (per
la pratica delle operazioni più difficili) e quella in Chirurgia
de levibus (per le operazioni di routine): per la prima era obbligatorio
il corso di anatomia alla Sapienza, per la seconda era richiesta la
frequenza per tre anni di un ospedale.
Gli studi scientifici, nel clima sospettoso della controriforma cattolica,
avevano subito l’avversione della gerarchia ecclesiastica per lo sviluppo
delle indagini sperimentali, in favore della conservazione della tradizione
aristotelica nelle scienze fisiche e naturali. Un impulso al rinnovamento
fu esercitato all’alba del secolo dei lumi dal medico romano Giovanni
Maria Lancisi, anatomista, nato nel 1654 a Roma, ove morì nel 1720.
Professore di anatomia e chirurgia dal 1684
al 1696, quindi di medicina teorica e medicina pratica alla Sapienza
(doc.8), fu
nominato archiatra pontificio il 25 aprile 1715, titolo in virtu’
del quale fu il medico personale di diversi pontefici (doc.
11). Autore di importanti studi di anatomia e patologia
e pioniere dei moderni studi sulla malaria - la cui diffusione egli
attribuì alle zanzare che infestavano l’agro romano e pontino - si
impegnò a dare un indirizzo più pratico
all’insegnamento della medicina (doc.12)
tanto che fu proprio per iniziativa del Lancisi che nel 1700 l’Università
si dotò di un nuovo anfiteatro anatomico, ove cominciò a tenere le
sue lezioni pratiche di anatomia il Baglivi. Giovanni Maria Lancisi
fu autore di numerosi trattati, fra i quali: De subitaneis mortibus
(Roma, 1707) e De motu cordis et aneurysmatibus (Roma, 1728)
ove è descritta la patogenesi degli aneurismi. Collezionista erudito
di libri, li lasciò in eredità alla Biblioteca Lancisiana, che ancora
porta il suo nome, così come l’Accademia Lancisiana
[1] da egli fondata: entrambe hanno sede nell’Ospedale Santo
Spirito (Palazzo del Commendatore).
Per riforme organiche, che dessero finalmente spazi didattici e strumentazioni
di laboratorio agli studenti delle discipline fisico-naturalistiche
all’università di Roma bisogna attendere papa Lambertini e Pio VI
Braschi. Benedetto XIV con le sue riforme del 1744 e 1748 oltre a
porre il principio della messa a concorso delle cattedre ripristinò
l’obbligo di frequenza giornaliera dei corsi. Egli inoltre dotò l’Università
di un laboratorio di chimica, di un istituto di fisica e di tre nuove
cattedre: “matematica sublime” (comprendente il calcolo differenziale
e integrale, elementi di astronomia e meccanica) botanica pratica
(con lezioni all’orto botanico sistemato al Gianicolo) e chimica.
Dopo il nuovo impulso dato da Pio VI agli studi di medicina, con l’attivazione
delle cattedre di ostetricia e medicina legale, attraverso
il nuovo regolamento emanato dal rettore della Sapienza Costantini,
il 21 aprile del 1788 (doc.15)
per disciplinare orari e disciplina dei corsi di laurea, possiamo
seguire come si articolasse il corso di studi degli aspiranti medici
e chirurghi alla Sapienza alla fine del Settecento. L’università era
articolata in cinque corsi di studi: oltre a quelli in materie sacre,
giurisprudenza e lingue, a carattere scientifico erano i corsi in
Medicina e chirurgia e quello di Filosofia e arti.
Quest’ultimo aveva cinque cattedre: etica, logica e matematica, aritmetica
geometria e algebra, fisica, matematica mista (questa cattedra comprendeva
insegnamenti di meccanica, statica, idrostatica): i corsi annuali
di matematica e fisica erano frequentate anche dagli studenti di
medicina. “Medicina e chirurgia” aveva nove cattedre. Per anatomia,
sdoppiata da chirurgia, il professore svolgeva ogni mattina una lezione
del corso annuale e nei giorni festivi dopo l’Epifania compiva sedici
dimostrazioni pratiche nel teatro anatomico su reperti predisposti
dall’incisore anatomico. I corsi di “Istituzioni medico-teoriche”
(fisiologia, patologia, semiotica, igiene) e di “Istituzioni medico-pratiche”
(terapeutica “col metodo di medicare e con la spiegazione d’Ippocrate”)
erano egualmente annuali e come quelli delle altre materie si svolgevano
ogni giorno feriale. Biennali erano invece i due corsi di “Medicina
pratica”. In un biennio si studiavano: malattie della testa, dei bambini,
del torace e aneurismatiche; nell’altro lo studio verteva su: “morbis
ventris… mulierum… universalibus et… febribus”. L’insegnamento
della Chimica si articolava in un corso annuale di istituzioni generali
e in tre anni di “istituzioni particolari” (sul regno animale, minerale,
vegetale): in questo triennio si svolgevano anche quindici esercitazioni
annuali, sempre in giorni festivi, nel laboratorio chimico. Anche
le lezioni di botanica erano accompagnate da esercitazioni che dagli
ultimi giorni di aprile al 27 giugno si svolgevano all’Orto Botanico
al Gianicolo. Il corso annuale di Chirurgia che comprendeva anche
medicina legale si svolgeva nel teatro anatomico, dove avevano luogo
anche quindici operazioni (negli stessi giorni festivi nei quali si
svolgevano le esercitazioni d’anatomia). Il professore di Ostetricia
faceva lezione agli studenti di chirurgia – sull’uso degli strumenti
di chirurgia ostetrica - fino ad aprile, poi passava ad istruire le
levatrici nella scuola ad esse destinata nell’Ospedale di S. Rocco.
Il corso in medicina si compiva in tre anni, dovendo lo studente frequentare
nel primo: Anatomia e Istituzioni medico-teoriche; nel secondo: Chimica,
Botanica, Istituzioni medico-pratiche, i due corsi di Medicina pratica;
la frequenza a questi ultimi continuava nel terzo anno. A questi insegnamenti
nel primo e nel terzo anno si aggiungevano quelli di matematica e
fisica (questa comprendeva i quindici esperimenti eseguiti nel teatro
di fisica nei giorni festivi). Il corso di chirurgia in due anni prevedeva
la frequenza alle lezioni di Anatomia e alle operazioni di Chirurgia
il primo anno, alle operazioni di Chirurgia e a Ostetricia il secondo.
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2.
LA CORPORAZIONE DEGLI SPEZIALI
E LA FARMACIA
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Dalle esercitazioni “in simplicis medicamentis”
all’istituzione delle cattedre di “Botanica
pratica” (doc.3)
e di “Chimica” all’università di Roma, la farmacologia era entrata
tra gli studi e le materie universitarie a pieno titolo, insegnata
ai medici che dovevano conoscerla almeno in linea teorica, per prescrivere
i medicamenti che avrebbero curato le malattie diagnosticate. La preparazione
di questi medicamenti era affidata ad una diversa categoria di “operatori
della sanità”, con una propria tradizione professionale che si era
formata fuori dalle aule universitarie, gli aromatarii o speziali,
avviati a divenire, proprio con l’ingresso della chimica nella moderna
farmacopea, farmacisti.
La Farmacologia - il termine deriva da farmacon (medicamento)
e logos: (ragionamento su) - è l’arte di conoscere, raccogliere
e conservare i medicamenti semplici e di preparare quelli composti.
La sua origine è strettamente legata all’arte medica in generale.
L’esigenza di curare nasce con l’uomo, come dimostrano i resti di
sostanze medicinali trovate nelle caverne e nelle palafitte. Già nell’antico
Egitto esistevano locali adibiti alla conservazione dei farmaci in
appositi vasi. In età medievale e moderna i diretti eredi del rizotomo
(tagliatore di radici), dell’erbolaio (raccoglitore di erbe
medicinali) o apothecario dell’epoca romana, si chiamavano
speziali ed erano semplici fabbricanti e commercianti di spezie
e di preparati medici a base vegetale. A Roma vi erano i Pharmakopolai
e gli Aromatarii che vendevano i farmaci di casa in casa
o in apposite botteghe concentrate ai piedi
del colle Capitolino. Verso la fine del XIII secolo nascono le prime
farmacie pubbliche nelle città italiane:
prima di allora esistevano solo alcune spezierie conventuali.
Per svolgere il loro lavoro, gli speziali dovevano avere alcune conoscenze
base di erboristeria, farmacopea, medicina. In breve dovevano:
1) conoscere medicamenti semplici, di origine minerale, vegetale o
animale;
2) conoscere la migliore ‘elezione’, ovvero le buone caratteristiche
organolettiche, dei medicamenti semplici affinché da essi si traessero
le migliori proprietà terapeutiche richieste;
3) essere in grado di raccogliere, conservare e preparare erbe e medicamenti;
4) essere in grado di ‘comporre’, ossia mescolare, i medicamenti
semplici per ottenere i medicinali ‘composti’ e garantire la loro
corretta conservazione fino al momento della somministrazione.
La preparazione dei rimedi medicinali, fino all’introduzione della
chimica, si basava, infatti, soprattutto sull’uso delle erbe che venivano
coltivate nei “giardini dei semplici”, negli ortus conclusus
di monasteri e conventi, dove i monaci si occupavano della farmacia
copiando e tramandando ricette e medicamenti, mischiando conoscenze
scientifiche a tradizioni alchemiche e, talvolta, persino magiche.
Una volta raccolte e messe ad essiccare le erbe venivano conservate,
triturate, ridotte in polveri con torchi e mortai, per trasformare
le piante medicamentose in sciroppi, unguenti, creme a seconda delle
sostanze (grassi animali o vegetali, zucchero, miele, aceto…) con
cui erano combinate.
Gli Speziali, preparavano le medicine su prescrizione medica, vendevano
erbe, droghe e spezie, spesso usate anche per scopi alimentari, smerciavano
profumi, essenze e colori per tintori e pittori, cera per candele,
sapone, spago, carta da scrivere e inchiostro. Lo speziale era spesso
anche un astrologo e un alchimista. Intorno a lui si raccoglievano,
accanto al medico, le persone piu’ importanti della città: la farmacia
fu in Italia la prima forma di circolo scientifico, culturale e politico.
A partire dall’alto medioevo l’insegnamento dell’arte della spezieria
si tramandò attraverso una sorta di praticantato svolto nelle botteghe
dei maestri. In epoca comunale, gli speziali, come gli altri artigiani
e professionisti si riunirono in corporazioni o arti, che controllavano
che la professione venisse svolta da persone competenti. A Roma gli
speziali godevano di una particolare autonomia professionale, organizzati
nella Universitas Aromatariorum Urbis. Gli statuti stampati
all’inizio del XVII sec. - riformati e sottoposti all’approvazione
della Magistratura cittadina l’11 aprile 1607 – pongono la corporazione
sotto la reggenza di tre Consoli ed un Camerlengo, assistiti da 13
consiglieri, uno per ciascun rione della città (doc.4) stabilendo: “s’intendino Speziali tutti quelli che esercitano
o fanno per alcuno scolaro esercitare l'arte di Spezieria, ed ancora
tutti coloro che vendono pubblicamente nelle loro botteghe pepe, zafferano,
sapone ovvero altre cose spettanti a la detta arte, ancorché esercitassero
altr'arte, e questi tali possono essere costretti avanti li Signori
Consoli a rispondere ed a osservare li Capitoli de li presenti statuti".
Ad istituire di fatto il collegio era stata la bolla di Martino V
dell’8 marzo 1429 con la quale venivano assegnati all'Università degli
Speziali di Roma i benefici di una Collegiata vescovile della Sabina
da tempo ormai soppressa per mancanza di canonici. Il pontefice destinò
alla corporazione, perché vi erigesse il proprio ospedale, la chiesa
dedicata a S. Lorenzo in Miranda, cosiddetta per i magnifici monumenti
che la circondavano. Sorgeva infatti nel Foro Romano, sulle rovine
del tempio dedicato all'imperatore Antonino Pio ed a sua moglie Faustina
(141 d.C.) di cui si ammira ancora la facciata formata da sei colonne
di marmo. La chiesa, poi nota con il nome di S. Lorenzo de’ Speziali,
subì nel corso dei secoli molte modifiche. Nel 1536, per esempio,
per la visita dell'Imperatore Carlo V, furono demolite le vecchie
costruzioni a ridosso dell’edifico e nelle stradine adiacenti, per
far ammirare le rovine dell’età classica. E nel 1602 l'Universitas
Aromatariorum la riedificò dalle fondamenta, dandole l’aspetto
attuale: ancora oggi il “Nobile Collegio Chimico Farmaceutico”, secondo
la denominazione assunta nel 1860, mantiene viva in questa sede la
tradizione dell’antica corporazione, conservando fra l’altro la documentazione
del suo prezioso archivio.
Nelle spezierie romane, oltre ad essere smerciati medicinali, si svolgevano
tutta una serie di pratiche terapeutiche, di primo intervento e bassa
chirurgia, che vedevano spesso operare lo speziale in società con
il medico. A questo debordare degli speziali nel campo delle pratiche
mediche avevano voluto porre un freno gli statuti cittadini, riformati
nel 1469, riconducendo l’attività degli aromatari sotto il controllo
della medicina istituzionale. Fu poi Clemente VII, con il provvedimento
del 1531 – frutto di un concordato tra i due collegi degli speziali
e dei medici per la delimitazione dei rispettivi privilegi ed autonomie
– a rafforzare l’autorità del protomedico
nel controllo della corporazione degli speziali (doc.
5). E più tardi, nel 1575 un altro provvedimento di
Gregorio XIII sancirà la regolamentazione delle arti sanitarie, ed
in particolare lo smercio dei prodotti medicinali, che rimarrà in
vigore per i due secoli successivi).
Sarebbe stata dunque interdetta la vendita dei farmaci senza la ricetta
del medico; la preparazione dei composti doveva essere vigilata dal
protomedico, così come a questi, coadiuvato dai consoli degli aromatari,
spettava il compito di visitare periodicamente le botteghe per verificare
unità di misura, bilance e qualità di tutti i semplici e i composti
che lo speziale doveva tenere in vendita, secondo la lista rerum
petendarum, cioè il prontuario farmaceutico che annualmente apprestava
il protomedico, stabilendo anche il prezzo dei farmaci. E per ricevere
la patente ed essere iscritto nella matricola, cioè nel libro
degli speziali che esercitavano a Roma occorreva essere esaminato
sia dal protomedico che dai consoli dell’arte: allo scopo era necessario
aver compiuto venticinque anni, essere a Roma da almeno dieci anni
ed aver svolto un tirocinio pratico – essere stato garzone –
presso uno o più negozii di spezieria per un numero non definito di
anni.
Il livello di cultura generale, in questa formazione tutta extrascolastica
ed empirica doveva essere molto differenziato; e proprio per garantire
i requisiti minimi della formazione degli speziali il protomedico
Antonio Porto da Fermo nel bando del 1 febbraio 1592 stabiliva l’obbligo
della conoscenza del latino per i capi di bottega. Per dirigere il
complesso delle attività che si svolgevano nella spezieria non era
più sufficiente il grado di alfabetizzazione indispensabile alla cura
degli interessi mercantili: la tenuta dei libri contabili, la registrazione
dei farmaci smerciati e delle relative ricette. Nuovi obblighi culturali
si imponevano allo speziale per garantire l’esatta esecuzione delle
ricette del medico, consultare le farmacopee, leggere i trattati di
botanica comprendendone la dotta terminologia di derivazione latina,
mentre con i viaggi di scoperta e la conquista del
nuovo mondo nuove piante e principi curativi si aggiungevano a quelli
conosciuti (doc 14).
Era cioè necessario aggiornare la sua formazione scientifica. Le direttive
del protomedico generale avrebbero circoscritto nel corso del Seicento
la libertà degli aromatari nell’ambito delle preparazioni consentite
dall’”Antidotario romano”, il libro della farmacopea ufficiale, approntato
dal Collegio dei medici nel 1583, cui si aggiunsero successivi aggiornamenti
fino al 1675, fra cui l’edizione pubblicata nel 1637 dal medico Pietro
Castelli, lettore dei semplici alla Sapienza. Diventava obbligatorio
scrivere sui barattoli e sulle confezioni la data di preparazione
dei medicinali, che dovevano essere accompagnati da note illustranti
“a che sorta di mali siano buoni detti rimedi acciò non si vendi
una cosa per un’altra e che non si medichi un male per un altro”
come si legge nel bando del protomedico G.B. Fastanello del 1618.
Altri fattori convergevano nel corso del Settecento a garantire l’accrescimento
della professionalità nelle botteghe, che si qualificavano sempre
più come luoghi di produzione di farmaci preparati con l’uso di procedimenti
e armamentari chimici, anziché di smercio di merci eterogenee. Fra
questi l’impianto a partire dal 1689 dell’organizzazione di assistenza
sanitaria urbana che faceva capo all’Elemosineria apostolica. Questo
servizio fu articolato per fornire assistenza in modo efficace e capillare
agli ammalati poveri, raggiungendoli con visite a domicilio da parte
di medici e la somministrazione gratuita dei farmaci da parte di 12
spezierie rionali, scelte tramite concorso pubblico fra quelle esistenti
nella zona, con un’organizzazione che copriva l’intero territorio
cittadino. Contemporaneamente successivi provvedimenti del governo
riducevano il numero delle botteghe: eliminando le piccole spezierie
che appartenevano alla fascia più bassa dello smercio, con pochi prodotti
per il piccolo commercio locale, nel 1746 il numero delle farmacie
della città fu ridotto a 40, introducendo anche la norma in base alla
quale la distanza minima fra un esercizio e l’altro fosse di 300 canne.
Bisognerà attendere però i sommovimenti francesi e napoleonici dell’inizio
dell’Ottocento per far emergere quel sotterraneo processo di trasformazione
attraverso il quale l’”arte aromataria” si era ormai evoluta in una
scienza, cui necessitava una specifica didattica. Nel 1809 venne istituito
il primo corso pubblico di studi superiori in farmacia, affidato all’ex
collegio degli speziali, che era stato soppresso come tutte le altre
corporazioni durante il periodo dell’amministrazione napoleonica.
Con il ritorno del governo pontificio i corsi di farmacia vennero
assunti direttamente dall’Università.
Nel nuovo ordinamento dato da Leone XII nel
1824 all’intera organizzazione degli studi con la bolla Quod divina
sapientia (doc.16)
il corso universitario di Farmacia era articolato in due anni. Nel
primo gli studenti avrebbero seguito le lezioni
di Chimica e Botanica (doc.19),
nel secondo i corsi di “Materia Medica” e Farmacia, prendendo il grado
di baccelliere al termine del primo anno e la licenza a
conclusione del secondo. Ripristinato dal restaurato potere
pontificio il “Collegio dei Farmacisti”, in linea con la tradizione
era l’iter successivo - che rimase in essere fino al 1870 – per l’accesso
alla professione. I neodiplomati farmacisti dovevano conseguire la
“Matricola": “A tale effetto dovranno subire l’esame, e fare
quegli esperimenti prattici, che loro si proporranno, tanto dal Collegio
Medico, quanto dal Collegio de’ Farmacisti”.
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3.
GLI OSPEDALI E LA PRATICA
MEDICO-CHIRURGICA
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Anche il rapporto fra università e ospedale con le riforme della seconda
restaurazione attraversa un decisivo sviluppo. Pio VII, con provvedimento
del 20 luglio 1815 istituì infatti gli insegnamenti di “Clinica Medica”
e di “Clinica Chirurgica”, l’una impiantata al S.Spirito (dodici letti
per gli uomini e sei per le donne) l’altra al S. Giacomo (sette letti
per gli uomini e sei per le donne) con libertà di scelta dei malati
di qualsiasi ospedale. Una disposizione del 1819 di papa Chiaromonti,
definitivamente ratificata nell’organica riforma degli studi universitari
attuata dal successore Leone XII nel 1824, subordinava il conseguimento
della “matricola”, dopo la laurea in medicina o chirurgia, ad un
biennio di specializzazione ospedaliera in una delle due cliniche.
Solo ora anche all’Università di Roma – sebbene in ritardo rispetto
ad aree più avanzate della società italiana ed europea, ove la cultura
illuministica era penetrata più rapidamente ed aveva già riformato
le strutture scientifiche e culturali degli stati di antico regime
- si definiva compiutamente il profilo curriculare della formazione
del medico, tecnico della sanità, così come lo intendiamo oggi.
Lo studio della medicina nelle aule universitarie aveva avuto fino
ad ora carattere eminentemente teorico. Anche gli insegnamenti di
“medicina pratica” erano impartiti con la lettura di dispense e trattati,
illustrati con tavole, “fantocci” e modelli anatomici. Alla metà del
Settecento, anche dopo il nuovo impulso dato alla didattica sperimentale
da papa Lambertini - all’Università di Roma furono attivate per esempio
le esercitazioni del laboratorio chimico nel 1749, con l’istituzione
del corso di “Istituzioni ed esperimenti chimici” - uno spazio
relativamente limitato avevano le esercitazioni pratiche di anatomia.
Queste erano svolte dal professoredella nuova
cattedra di “Istituzioni Chirurgiche e anatomiche”, Natale Saliceti
(doc.9). Le dimostrazioni
sulla sezione di un cadavere condotte nel
teatro anatomico dell’università (doc.10)
davanti a un auditorio affollato di studenti – secondo il calendario
delle lezioni del 1553 – erano venti, concentrate nei giorni vacanti
e festivi (il giovedì e la domenica) del quadrimestre
fra l’Epifania e la Pasqua. Il Saliceti era approdato all’insegnamento
universitario, dalla prestigiosa posizione di medico primario del
Santo Spirito. Poiché era nell’ambiente ospedaliero, che si qualificava
la formazione del medico e del chirurgo, attraverso una tradizione
di scuola sul campo – l’insegnamento clinico presso il letto del malato
e nella sala operatoria – che per secoli si era strutturata come canale
di formazione parallelo e per molti aspetti indipendente dall’università.
Gli ospedali, che sostituirono gli antichi xenodochi, si diffusero
intorno all’anno 1000, avendo non solo funzioni mediche, ma più in
generale assistenziali o di ospitalità per pellegrini e forestieri,
come indica il nome stesso. Tra i più antichi di Roma e quello che
meglio rappresenta l’iter della formazione sanitaria extrauniversitaria
è l’ospedale di Santo Spirito in Sassia, fondato nel 1198 dal pontefice
Innocenzo III, che aveva sognato un pescatore che raccoglieva nelle
reti del Tevere molti feti e cadaveri di bambini. Probabilmente l’origine
dell’ospizio era precedente, risalente al periodo dei pellegrini Angli
e Sassoni che, dopo l’evangelizzazione di Gregorio Magno, arrivavano
a Roma a visitare le tombe degli Apostoli. Certamente però Innocenzo
III, preoccupato degli aborti e del fenomeno dell’abbandono, trasformò
la più antica istituzione in ospizio per i bambini, potenziandone
poi, progressivamente la funzione ospedaliera. Sull’esempio del Santo
Spirito sorsero a Roma molti altri ricoveri: nel 1300 erano circa
27, di cui alcuni ancora oggi funzionanti. Gli ospedali si specializzavano
in particolari forme di assistenza: il San Giacomo per esempio accoglieva
gli incurabili e i sifilitici, il Fatebenefratelli le donne che dovevano
partorire in segreto, la Trinità dei pellegrini, oggi scomparso, i
forestieri che venivano a Roma per i giubilei ordinari e straordinari.
Anche le confraternite, associazioni laiche che si occupavano dell’assistenza
dei propri confratelli o fasce povere della popolazione – ed erano
perciò luoghi pii, per l’esercizio della carità - avevano
quasi sempre un proprio ospedale, dove accoglievano i malati, come
dimostra ancora oggi la struttura di S. Maria dell’Orto a Trastevere.
Il Santo Spirito fu però il fiore all’occhiello dell’assistenza pontificia,
come testimonia fra l’altro il Liber regulae, manoscritto che
ne racconta la storia e l’attività nel XIII-XIV secolo: possedeva
un servizio di ambulanze, funzionava 24 ore su 24, ed aveva un sistema
di letti estraibili che, in caso di epidemie,
poteva in breve raddoppiare i posti per i malati (doc.13).
La “famiglia” del Santo Spirito accoglieva 500 ospiti all’epoca del
Sacco di Roma quando nel 1527, i Lanzichenecchi sterminarono tutta
la famiglia. Notevoli quanto necessari lavori di ampliamento e ristrutturazione
furono ordinati da Alessandro VII alla metà del Seicento, così che
si ebbero numerose sale che accoglievano i malati secondo il tipo
di malattia; si aggiunsero alcune corsie che prevedevano zone separate
per i ricchi o per coloro che per le particolari sofferenze, con grida
e lamenti, potevano disturbare gli altri malati. Letti singoli (mentre
nel resto d’Europa si usava spesso tenere i ricoverati in due o più
per letto) e una sorta di cartelle cliniche appese a capo dei letti
- costituite da una tavoletta con dodici quadretti mobili recanti
segni convenzionali sulla dieta e la gravità della malattia - vitto
regolamentato e suddiviso caratterizzavano l’organizzazione dell’ospedale.
A gestirlo erano frati e monache dell’ordine di Santo Spirito ed era
aperto ad ogni tipo di persone, compresa l’infanzia abbandonata, la
cui assistenza rimase sempre uno dei compiti primari del luogo. Il
personale sanitario era scelto con cura, e l’ospedale costituiva una
vera e propria facoltà di medicina (teorica e pratica) dotata di attrezzature,
per quei tempi, all’avanguardia.
La dissertazione di Pietro Saulnier De capite sacri ordinis Sancti
Spiritus data alle stampe a Lione nel 1644 illustra il funzionamento
dell’ospedale e ne evidenzia la complessa organizzazione gerarchica,
basata su profili operativi – medici, chirurghi, caporali
e guardie - che corrispondevano anche a distinti gradi nel
cursus della formazione professionale. A quattro medici primari
era affidata la direzione dei quattro reparti in cui era divisa la
struttura, coadiuvati da quattro assistenti. Un altro medico era addetto
all’ospedale detto “dei nobili” ed un altro ancora curava le religiose
e i religiosi. Dell’organico facevano parte inoltre due chirurghi
primari, anch’essi assistiti da due sostituti, ed i caporali,
praticanti che presidiavano ciascuno una sala – nella sala maggiore
ve ne erano quattro – col compito di organizzare praticamente l’assistenza
ai malati: “essi vanno appresso ai medici nelle visite e segnano
le prescrizioni; poi controllano i medicinali, sorvegliano gli infermi,
perché tengano in ordine i letti e pulite le infermerie. Vigilano
altresì perché ogni malato si attenga alla dieta che gli è stata prescritta”.
In ultimo venivano i giovani allievi chirurghi, detti guardie,
circa venticinque, divisi fra: novizi, pratici e anziani.
Essi godevano di un salario minimo perché apprendevano l’arte aiutando
i chirurghi nelle operazioni. La loro era una vera e propria “gavetta”,
poiché fra i loro compiti rientravano lo spazzare le sale, rifare
i letti, somministrare il cibo agli infermi che non erano in grado
di mangiare da sé, compiere il pietoso ufficio di vestire i morti
e portare le bare. Ma era la pratica diretta della medicina e della
chirurgia, sotto la sorveglianza dei primari e il metodo d’insegnamento
sperimentale esercitato nell’”accademia domestica di medicina”
che si svolgeva due volte a settimana, nell’anfiteatro dell’ospedale,
ove un medico era incaricato di descrivere “alla presenza dei
discepoli, e anche di estranei desiderosi di apprendere... partitamente
la fabbrica del corpo umano e [impartire] lezioni pratiche
di anatomia” a creare una vera e propria ressa per l’accesso ai
posti. Quanti frequentavano la scuola del S. Spirito, ricevevano una
patente, un attestato di studi, di prestigio: potevano
aspirare ad intraprendere essi stessi la carriera di assistente e
di primario nel nosocomio, avevano comunque ottime credenziali per
essere “chiamati come pratici anche fuori della Casa di San Spirito”,
come afferma un altro cronista dell’epoca, Gasparo Alveri, nella sua
descrizione Della Roma in ogni stato del 1664. In effetti
nessun riferimento ai laureati o ai matricolati all’Università di
Roma troviamo nei bandi di concorso per i medici primari del S. Spirito:
piuttosto che al titolo di studio questi facevano riferimento alla
dottrina e all’esperienza che i candidati avrebbero dovuto dimostrare
di fronte alla commissione esaminatrice.
Più in generale, la definizione degli organici degli ospedali di Roma
come la selezione del personale, per tutto il corso del Seicento ed
oltre, è totale appannaggio degli istituti ospedalieri, senza che
il Collegio medico eserciti alcuna ingerenza al loro interno, né come
organo di controllo, né come tribunale. Ma il terreno scientifico
di incontro fra la “medicina dotta” del cursus universitario
e la medicina ospedaliera era destinato ad essere l’anatomia e il
suo studio per la specializzazione chirurgica. Le pagine che Carlo
Bartolomeo Piazza dedica alle “accademie di anatomia” che resero famosi
oltre al S. Spirito altri ospedali romani, nell’edizione del 1698
della sua rassegna Delle opere pie di Roma ne sono una testimonianza.
Alla Consolazione: “s’apre ogni anno, nel tempo opportuno
dell’inverno, un’Accademia di Naturale Filosofia del Corpo Umano intimata
con pubblico avviso a tutti li Professori di Medicina e Chirurgia;
ove per benefizio pubblico da un eccellente Maestro si osservano nel
trinciamento de’ membri tutte le cose più notabili delle passioni,
infermità, malori, accidenti, a’ quali soggiacciono le parti vitali
dell’huomo”. La scuola anatomica attivata nel 1643 dal primario
del S. Maria della Consolazione, il celebre chirurgo Guglielmo Riva,
nell’ospedale - che aveva probabilmente una naturale vocazione in
proposito per essere deputato al ricovero dei traumatizzati, vittime
di risse, aggressioni e ferimenti – fu forse il principale centro
di formazione della chirurgia romana. Ad essa riconoscevano rilevanza
anche gli statuti del Collegio medico della Sapienza nel 1676: a questo
proposito va ricordato che secondo le norme in essi contenute per
l’immatricolazione del “medico dotto” era richiesta dopo la laurea
una generica pratica triennale “sotto la direzione di un medico”,
per la patente d’esercizio in Chirurgia de levibus era espressamente
richiesta invece una frequenza triennale presso un ospedale.
L’organica riforma degli studi attuata nel 1824 rappresenta dunque
il compimento di un processo evolutivo anche nella definizione del
percorso formativo degli specialisti in chirurgia: persa ogni connotazione
di mestiere la preparazione del chirurgo era ora interamente
ricondotta nell’alveo della preparazione scientifica di livello universitario.
Secondo quanto stabilito da Leone XII presso l’Archiginnasio Romano,
erano attivati cinque indirizzi di studio: Teologia, Giurisprudenza,
Medicina, Chirurgia, Filosofia. Nel nuovo ordinamento i due corsi
di medicina e di chirurgia erano distinti ed entrambi ben articolati,
il primo in un quadriennio, il secondo in un triennio. Del primo facevano
parte gli insegnamenti di Anatomia, Fisiologia, Chimica, Botanica,
Igiene, Patologia generale, Medicina teorico-pratica, Medicina legale,
Farmacia pratica. Gli studenti di Chirurgia frequentavano gli stessi
corsi (ad eccezione di Botanica e Medicina teorico-pratica) essendo
materie specifiche del corso di laurea la Chirurgia generale e l’Ostetricia.
Dopo la laurea – che seguiva i gradi intermedi del baccellierato
al termine del primo anno di corso e di licenza al termine
di un altro biennio di studi - per la “matricola”, ovvero per l’abilitazione
all’esercizio della professione, sostenuta con un esame davanti al
Collegio medico, si riaffermava l’obbligatorietà del biennio di specializzazione
in una delle due clinica, medica o chirurgica. Perciò il provvedimento
di papa Della Genga si preoccupava di potenziare strutture e organizzazione
delle cliniche. Alla scuola di clinica medica presso l'Ospedale di
S. Spirito, oltre al primario erano addetti un professore supplente,
quattro giovani studenti in medicina, ciascuno per le diverse ore
del giorno e della notte, due infermieri ed un chirurgo assistente,
incaricato delle sezioni anatomiche. Anche la scuola di clinica chirurgica
del S. Giacomo avrebbe avuto un professore supplente ed un numero
variabile di allievi. Sempre secondo il regolamento degli studi di
Leone XII: ”I pezzi di Anatomia Patologica, che somministrerà l’apertura
dei Cadaveri delle Scuole Cliniche saranno
preparati, e conservati nel Museo Anatomico” (doc.18).
Con la riforma di Leone XII in pratica si sanciva definitivamente
che l’esercizio pubblico della medicina e della chirurgia era conferito
solo a quanti avessero seguito tutto il corso prescritto dai regolamenti,
essendo fatto assoluto divieto di esercitare l’arte sanitaria a chi
fosse sprovvisto di regolare laurea e patente rilasciata dall’università.
La Deputazione degli ospedali di Roma – l’amministrazione unica dei
nosocomi cittadini creata dal governo napoleonica nel 1809, poi
confermata da Pio VII con l’aggiunta ai laici di elementi ecclesiastici
e sciolta solo da Pio VIII nel 1829 – avrebbe dunque dovuto fare
a meno dei giovani che col titolo di novizi assolvevano le
mansioni di infermieri e si addestravano nella medicina. Con
il successivo motu proprio “Sopra il regolamento degli ospedali
della città di Roma” del 3 gennaio 1826 (doc.17)
Leone XII ribadiva il principio dell’accesso alla carriera ospedaliera
esclusivamente attraverso concorsi pubblici e che all’assistenza dei
malati prestassero servizio esclusivamente “due classi… la prima
di Professori Matricolati, ed in grado di Officiali, la seconda d’Infermieri”.
Anche nel variegato universo dell’assistenza ospedaliera romana, agli
antichi usi e ai rituali caritativi della tradizione si sarebbero
sostituite le regole della sanità pubblica dello stato moderno.
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4.
CRONOLOGIA DELLE PIU' IMPORTANTI
SCOPERTE E PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE
TRA IL 1472 E IL 1851
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1472
Paolo Bagellardo
completa il De infantium aegritudinibus et rimediis, primo
trattato completamente dedicato alla pediatria.
1478 Vede la luce a Firenze l’editio princeps del De
medicina di Celso. Attraverso quest’opera vengono riproposte
le pratiche terapeutiche e chirurgiche della cultura medica classica.
1502
Alessandro Benedetti stampa l'Historia corporis
humani sive anatomice, il primo manuale di anatomia pubblicato
in Occidente.
1505-6
Leonardo da Vinci redige a Firenze il Codice
sul volo degli uccelli. Negli stessi anni è immerso negli studi
di anatomia e compie dissezioni presso l'Ospedale di S. Maria Nuova.
1530
Girolamo Fracastoro pubblica il poema latino Syphilis
sive morbus gallicus, in cui sostiene la contagiosità della sifilide.
Nel 1546 pubblicherà il De contagione et contagiosis morbis et
curatione, testo alla base della moderna patologia, nel quale
per la prima volta si attribuisce l'origine delle malattie contagiose
a seminaria o virus, agenti vivi che contaminano uomini e animali.
1543 Il belga
Andrea Vesalio pubblica a Basilea uno
dei testi alla base dell’anatomia moderna, De humani corporis fabrica,
che ha iniziato a scrivere nel 1537, quando laureatosi in medicina
a Padova, è chiamato ad insegnare medicina e chirurgia nella stessa
università.
1543-45 Vengono fondati i primi Orti botanici a Firenze, Padova
e Pisa. Gli orti sono legati all'insegnamento universitario della
medicina e concepiti come officine di produzione di rimedi "semplici".
1559 Esce postumo il De re anatomica di
Realdo Colombo,
che propone per la prima volta l'esistenza della piccola circolazione
del sangue.
1561
Gabriele Falloppio, nelle Observationes anatomicae,
fornisce la descrizione di numerose strutture anatomiche per la prima
volta osservate, fra cui quelle delle tube (che portano il suo nome),
della corda e della membrana del timpano e dei canali semicircolari
dell'orecchio.
1571
Andrea Cesalpino studia per la prima volta la
circolazione del sangue e pone il cuore al centro del sistema ematico.
Nel 1583 descriverà nel De plantis oltre 1300 piante, proponendo
un nuovo criterio tassonomico fondato sulla struttura degli organi
di fruttificazione.
1600
Girolamo Fabrici d'Acquapendente pubblica il primo
trattato di embriologia comparata, il De formato foetu. Nel
1603 descriverà per la prima volta le valvole delle vene.
1628
William Harvey, erede della scuola anatomica di
Padova, dove si è laureato nel 1602, dal 1615 professore di anatomia
e chirurgia al Reale Collegio dei medici a Londra, pubblica le sue
scoperte sulla circolazione del sangue nel trattato Exercitatio
anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus.
1615
Santorio Santorio, nel De Statica Medicina,
fa ricorso alla perspirazione insensibile per spiegare
le variazioni del peso corporeo dell'uomo. Santorio, nel 1612, aveva
realizzato un rudimentale termometro ad aria.
1624
Galileo Galilei informa con una lettera
Federico
Cesi di aver messo a punto un occhialino col quale vede grandi
le cose piccole. E' la nascita del microscopio, che apre straordinarie
prospettive di ricerca nelle scienze della vita.
1625 Il gesuita
Cristoph Scheiner ripete a Roma, questa
volta su di un occhio umano, l'esperienza che prova l'esistenza di
immagini retiniche, effettuata anni prima su di un occhio di bue.
1661 Nel De pulmonibus observationes anatomicae,
Marcello
Malpighi descrive in maniera sistematica, grazie al microscopio,
la struttura dei polmoni, gli alveoli polmonari e i capillari dei
polmoni. Viene così confermata la scoperta di Harvey della circolazione
del sangue.
1680 Esce postumo il De Motu Animalium di
Giovanni
Alfonso Borelli, che tratta dei movimenti esterni e dei moti interni
(muscoli, respirazione, attività nervosa) dei corpi, attribuendo cause
fisico-meccaniche ai fenomeni organici e alle funzioni fisiologiche.
1687 Escono a Firenze le Osservazioni intorno a' Pellicelli
del corpo umano di Giovanni Cosimo
Bonomo, il quale dimostra
sperimentalmente il ruolo dell'acaro nell'eziologia della scabbia.
1700
Bernardino Ramazzini, pubblica la De morbis
artificium diatriba, il primo trattato dedicato alle malattie
del lavoro.
1704
Antonio Valsalva presenta un'accurata descrizione
dell'orecchio umano e descrive per la prima volta il cosiddetto "apparecchio"
che porta il suo nome.
1711 A Roma,
Giovanni Maria Lancisi dona la sua ricchissima
biblioteca all'Ospedale di Santo Spirito in Sassia e ne favorisce
il funzionamento con un ingente finanziamento. La Biblioteca, chiamata
in seguito Lancisiana, aperta al pubblico nel 1714, ospiterà anche
un'accademia di medicina, chirurgia e anatomia.
1728
Iacopo Bartolomeo Beccari comunica all'Accademia
delle Scienze di Bologna la scoperta del glutine. La memoria De
frumento sarà tuttavia pubblicata soltanto nel 1745.
1728 Esce postumo il De motu cordis et aneurysmatibus
di Giovanni Maria Lancisi. Il trattato rappresenta una pietra
miliare nella storia della patologia cardiocircolatoria.
1729 Il fiorentino
Pier Antonio Micheli classifica
per la prima volta quasi duemila specie botaniche. Le sue scoperte
sulla struttura del micelio e sulle modalità riproduttive dei funghi
ne fanno il fondatore della micologia come branca autonoma della botanica.
1776
Giacinto Vincenzo Malacarne fornisce la prima dettagliata
descrizione del cervelletto.
1793
Vincenzo Chiarugi pubblica a Firenze il trattato
Della pazzia in genere, e in specie, che segna la fondazione
della psichiatria moderna.
1809
Luigi Rolando pubblica a Sassari il Saggio sopra
la vera struttura del cervello dell'uomo e degli animali e sopra le
funzioni del sistema nervoso. Il suo nome è legato alla scoperta del
'solco' che divide nel cervello lobi parietali e lobi.
1851
Alfonso Corti studia l'organo spirale dell'orecchio
interno, che porta il suo nome, dando inizio alla fisiologia acustica
moderna. In precedenza aveva studiato l'anatomia della retina, dimostrando
la connessione delle cellule nervose con le fibre del nervo ottico.
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I DOCUMENTI
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doc. 1
ASC,
Biblioteca Romana: 20411/20414
“Storia dell’Università degli Studi di Roma
detta comunemente La Sapienza che contiene anche un
saggio storico della letteratura romana dal principio
del secolo XIII sino al declinare del secolo XVIII dell’avv.
Filippo Maria Renazzi professore ordinario di giurisprudenza
nella stessa Università”, Roma, Stamperia Pagliarini,
1803 – 1806, voll. I – IV. Frontespizi.
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Nel
frontespizio del vol. I appaiono due medaglioni, l’uno reca l’effigie
del papa regnante Pio VII, l’altro l’immagine del portico interno
della Sapienza, con il prospetto della borrominiana chiesa di S. Ivo.
Nei frontespizi dei voll. II – IV lo stesso edifico è illustrato rispettivamente
nel prospetto principale esterno ed in quelli orientale e meridionale.
Quando Bonifacio VIII fondò nel 1303 l’Università a Roma, nel rione
S. Eustachio, lo “Studium in qualibet facultate” comprendeva
anche una facoltà medica.
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doc. 2
ASC, Camera
Capitolina: Cred. VII, t. 83
1722. Elenco dei
lettori della Sapienza con indicazione delle materie e degli orari
delle lezioni.
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In questo manifesto
con l’orario delle lezioni dell’anno accademico iniziato il 6 novembre
1722 i corsi sono distribuiti in orario antimeridiano (I II III hora
matutina) e pomeridiano (I II III hora vespertina). Le
cattedre di medicina sono otto. Due lettori di “medicina teorica”
leggono e commentano rispettivamente gli Aforismi e la Prognostica
di Ippocrate (II ora mattutina). I titolari di quattro cattedre
di “medicina pratica” (di cui una “straordinaria”) svolgono corsi
monografici su: le malattie della testa, dei bambini, del basso ventre
(II e III ora pomeridiana). Il professore di chirurgia e anatomia,
il bolognese Michelangelo Chellini, svolge la sua lezione “de tumoribus
extra naturam” alla III ora pomeridiana. Gli studenti di medicina
devono seguire anche la lezione di matematica e fisica “ad usum
Philosophiae et Medicinae” che si svolge nella III ora mattutina.
Questi corsi si svolgono durante i giorni feriali nel palazzo della
Sapienza. L’esercitazione “in Simplicibus Medicamentis” -
svolta dal medico ascolano Antonio Volpi – ha luogo invece in orario
antimeridiano (I ora mattutina) nei giorni festivi all’Horto Medico
della Sapienza, ora sistemato al Gianicolo, nell’area prospiciente
il fontanone dell’Acqua Paola.
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doc. 3
ASC, Camera
Capitolina: Cred. VII, t. 83
1755.
Calendario delle lezioni di Francesco Maratti professore di Botanica
e prefetto dell’Orto Botanico dell’Archiginnasio Romano.
|
Il programma
del professore di “Botanica pratica”, l’abate vallombrosiano Francesco
Maratti, prefetto dell’Orto Botanico, prevede la lettura di venti
dissertazioni sulle piante allogene ed esotiche, con particolare riguardo
a quelle utili alla medicina. Le lezioni si svolgono all’Orto Botanico,
collocato sul colle gianicolense, in un’area la cui esposizione e
facilità d’irrigazione con le acque reflue della condotta dell’Acqua
Paola, consente il migliore acclimatamento delle piante. Ad assistere
il professore nella “dimostrazione” delle diverse specie vegetali
sarà il professore di chirurgia, custode e ministro dell’Orto Botanico,
Liberato Sabbato. Le Lezioni pratiche si svolgono nei giorni vacanti
e festivi fra il 26 maggio e il 22 luglio: essendo la stagione estiva,
l’orario scelto è l’hora XXII, che secondo l’uso dell’epoca
di compitare le ore della giornata dal sorgere del sole al tramonto,
corrisponderebbe per noi alle 5,30 ca. del pomeriggio.
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doc. 4
ASC,
Camera Capitolina: Credenzone XI, Tomo 44
Statuti
del Nobil Collegio delli Spetiali dell’Alma Città di Roma..., In Roma,
nella Stamperia della Rev. Cam.Apost., MDCVII. Frontespizio. Libro
I: Capitolo 8 “De li semplici guasti e non buoni”. Capitolo 13 “Quali
si debbano intendere Spetiali”.
|
Si legge nel proemio: ”...il nobile collegio de’ spetiali dell’alma
città di Roma conoscendo che li loro statuti scritti anticamente,
e dati fuori fino dell’anno 1487 venivano a poco a poco a mancare
dell’osservanza... tanto perché non essendovi altro che un solo
libro, non potevano tutti li spetiali averlo... quanto anco
ch’essendo scritto a mano, veniva per difetto d’antichità a
guastarsi... nell’anno 1596 a dì 20 di luglio unitosi insieme
in congregatione avanti l’illustrissimi signori Conservatori
fu risoluto con viva voce di tutti, che li statuti del collegio,
tanto de’ consoli, quanto de’ guardiani della chiesa, e ospedale
di S. Lorenzo in Miranda protettore, si riduchino in un solo
volume, sotto nome di detto collegio, con le rubriche separate...
Li magnifici... hanno tradotto di latino in volgare tutti li
nostri statuti... e aggiuntovi quelli capitoli, e statuti, che
ricercano il tempo...”.
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doc. 5
ASC,
Collezione Bandi
1624. Bando
generale di Ascanio Mandosio, Priore del Collegio dei Medici e Protomedico
generale di Roma, sulla regolamentazione dellesercizio della
professione medica e altre arti sanitarie.
|
Nel bando si ribadisce
che l'esercizio della spezieria fuori Roma è consentito solo
a chi ne abbia ottenuto licenza dal Protomedici Generale o dal suo
Viceprotomedico. E' invece sottoposto all'accordo con il Collegio
degli Speziali ed il loro Statuto il controllo dell'esercizio sull'attività
di questi "operatori" della salute.
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doc. 6
ASC,
Camera Capitolina, Cred. VII, t.83
28 novembre 1754.
Tesi discusse dallo spoletino Ferdinando Campana, dottore in Filosofia
e Medicina, per lammissione al Collegium Archiatrorum
Urbis.
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Lesame per limmatricolazione
fra i medici di Roma, abilita allesercizio della professione:
il candidato discute pubblicamente nellaula magna dellArchiginnasio
Romano due tesi di Fisica su argomenti del trattato di Fisica di Aristotele
e due di Clinica Ostetrica, su passi tratti dallopera medica
del greco Ippocrate.
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doc. 7
ASC,
Camera Capitolina: Cred. XIV, t. 151
"Facciata
della Sapienza verso San Giacomo" schizzo eseguito
da Pantaleone Balsarini, "primus custos" dell’Archiginnasio Romano
su un volume miscellaneo con memoriali diversi sull’ufficio
del Rettorato della Sapienza, donato il 17 settembre 1769
alla Magistratura Capitolina.
|
Il “primus custos”
dell’Archiginnasio Romano, rappresenta la facciata principale
dell’edificio, fatta costruire da Sisto V nel 1587 (prima il portone
grande per l’ingresso degli studenti era quello sulla piazza S.
Eustachio). Oltre alle stanze occupate dai bidelli (lettera
A) che come i lettori della università romana erano
stipendiati dalla Camera Capitolina, attraverso i proventi della
cosiddetta gabella dello Studio, sono qui localizzati (lettera
I) i locali dei laboratori di fisica (“Stanzione delli sperimenti
fisici”) nella dislocazione precedente i lavori di Pio IX
che al gabinetto di fisica diede nuovi più ampi locali, sopraelevando
l’ala meridionale dell’edificio. Il corso di laurea in medicina
e chirurgia aveva in comune, alla fine del ‘700, con il corso
di “Filosofia e Arti” gli insegnamenti di fisica e chimica.
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doc. 8
ASC, Camera
Capitolina, Cred. VI, t. 113
Registro
dei mandati di pagamento a favore dei lettori della Sapienza 1679
– 1736.
|
In
questo “ruolo-paga” dei lettori e dei bidelli della Sapienza, stipendiati
dall’amministrazione comunale, con i proventi del dazio imposto sull’importazione
di uno dei maggiori consumi “alimentari” dell’epoca: il vino - il
medico romano Giovanni Maria Lancisi (1654 – 1720) appare fra i docenti
del corso in medicina, dal 1684 al 1695 con la cattedra di chirurgia
e anatomia, quindi fino al 1701 con quella di “medicina teorica”,
dal 1703 al 1713 con la cattedra di “medicina pratica”. Alla cattedra
di anatomia gli succede Giorgio Baglivi, allievo del Malpighi all’Università
di Bologna. In questo stesso ruolo il Baglivi, registrato come “Lyciensis”,
ovvero originario di Lecce, dal 1702 al 1703 occupa il posto di lettore
di medicina teorica “extra ordinem”.
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doc. 9
ASC, Camera
Capitolina: Cred. VII, t. 83
1753.
Calendario delle lezioni di anatomia del professor Natale Saliceti
|
Il
professore di anatomia e chirurgia della Sapienza, è anche primario
ospedaliero al S. Spirito ed è assistito da Pietro Maria Giavina,
alunno presso la scuola pratica di chirurgia dello stesso nosocomio,
che praticherà le incisioni sui cadaveri. In venti
lezioni sono illustrate le parti del corpo umano. La lezione del 18
febbraio – come annota il “bidello puntatore” sul foglio - non sì è
svolta, poiché “si passa in cavalcata il cadavere del card.le Ruffo
decano”. La lezione sospesa per lo svolgimento delle esequie solenni
del cardinal decano del Sacro Collegio, è recuperata il 7 marzo.
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|
doc. 10
ASC, Biblioteca
Romana: Stragr. 757/I-II
Nuovo
Teatro Anatomico nell’Università Romana. Tavola incisa in rame. Da:
P. CACCHIATELLI G. CLETER, “Le Scienze e le arti sotto il pontificato
di Pio IX”, Roma, Tip. Delle Belle Arti [1860-1869].
|
Il Lancisi ebbe il merito di
aver dotato la Sapienza di un nuovo anfiteatro anatomico, nel
quale condusse le sue lezioni di anatomia il dalmata Giorgio
Baglivi, strenuo sostenitore del metodo clinico nello studio
della medicina. Sotto il pontificato di Pio IX il teatro anatomico
fu nuovamente allestito da Virginio Vespignani in una delle
grandi sale al pian terreno del lato settentrionale della Sapienza,
in prossimità del portone d’accesso a piazza S. Eustachio. Durante
il corso dell’anno accademico il professore di anatomia vi eseguiva
sedici dimostrazioni anatomiche e quindici operazioni chirurgiche.
Nell’aula si svolgevano anche pubblici esperimenti di chimica
e fisica.
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doc. 11
ASC, Biblioteca
Romana: 17386
Giovanni
Maria Lancisi. “Intimi cubicularii et archiatri pontificii dissertatio
de nativis, deque adventitiis romani coeli qualitatibus…, Genevae,
sumptibus Fratrum de Tournes, MDCCXVIII”. Frontespizio.
|
Anatomista
ed igienista romano (1654 – 1720) oltre all’incarico di professore
alla Sapienza, come leggiamo nel frontespizio di questa sua opera,
Giovanni Maria Lancisi annoverava fra i suoi titoli anche la prestigiosa
carica di “archiatra pontificio”. Fu infatti medico personale di
Innocenzo XI, Innocenzo XII e Clemente XI. In campo igienico-profilattico
studiò a fondo la febbre malarica, malattia che fino alle bonifiche
novecentesche, imperversava nell’Agro Romano, pianura desolata e paludosa
che circondava la capitale, estendendosi a sud nell’Agro Pontino.
Per primo il Lancisi ne attribuì la causa alle zanzare presenti
nelle paludi, che egli propose di bonificare.
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doc. 12
ASC, Biblioteca
Romana: 13289[14]
Giovanni
Maria Lancisi. “Dissertatio de recta medicorum studiorum ratione instituenda,
habita ad novae Academiae alumnos, & Medicinae tyrones in Archinosocomio
S. Spiritus in Saxia… Romae, typis Jo. Mariae Salvioni in Archigymnasio
Sapientiae, 1715”. Frontespizio.
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Con
il discorso "sul retto ordinamento degli studi medici"
Giovanni Maria Lancisi inaugurò nel 1815 la prima tornata dell'Accademia
da egli istituita presso il S. Spirito, luogo d'incontro e discussione
fra i professori, i chirurghi e i giovani tirocinanti. Egualmente
destinata all'aggiornamento dei medici, il 21 maggio 1714 era stata
inaugurata la biblioteca ricca di circa 20.000 volumi, donata all'ospedale
dal grande anatomista ed igienista che dopo la laurea a soli 18 anni
alla Sapienza, si era formato nella pratica ospedaliera presso il
nosocomio romano.
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doc. 13
ASC, Biblioteca
Romana: Stragr. 757/I-II
Restauri
all’Arcispedale di S. Spirito in Sassia. Tavola incisa in rame. Da:
P. CACCHIATELLI G. CLETER, “Le Scienze e le arti sotto il pontificato
di Pio IX”, Roma, Tip. Delle Belle Arti [1860-1869]
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Tra
i più antichi di Roma, l’Ospedale nacque con il breve di Innocenzo
III del 1201. Le sue origini si fanno risalire però al 717 d.C., quando
il re sassone Ina fondò la “schola saxorum”, un albergo, ospedale,
chiesa e cimitero per i pellegrini della nazione Anglo-Sassone a
Roma.
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doc. 14
ASC,
Biblioteca Romana: 13255
Filippo
Luigi Gilii Gaspare Xuarez. Osservazioni fitologiche sopra alcune
piante esotiche introdotte in Roma fatte nell'anno 1788.
In
Roma, nella stamperia di Arcangelo Casaletti, 1789.
Frontespizio. Cucumis Anguria.
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In
epoca moderna gli studi naturalistici si avvalgono del progresso della
tecnica dell'illustrazione del libro scientifico. I trattati sono
corredati di illustrazioni la cui tecnica si evolve dall'incisione
su rame alla acquaforte alla litografia cromatica. Un particolare
sussidio allo studio della Botanica sono gli "erbari". Nella
tradizione medievale vi si raccoglievano ed illustravano le piante
medicinali e le loro virtù; oggi sono collezioni di piante
disseccate e classificate con metodi e scopi scientifici.
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doc. 15
ASC, Biblioteca
Romana: 20305
“Regolamento
dell’Archiginnasio Romano [emanato dal rettore Carlo Luigi Costantini
il 21 aprile 1788] Roma, MDCCLXXXVIII per Luigi Perego Salvioni Stampator
Vaticano e del sudetto Archiginnasio”. Corso di laurea in medicina:
materie di studio ed orari delle lezioni.
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Il
regolamento degli studi emanato dopo la riforma dei corsi universitari
di Pio VI Braschi, prevedeva che gli esperimenti di chimica e di fisica,
le dimostrazioni anatomiche e botaniche e le operazioni di chirurgia
– parte essenziale del curriculum formativo dello studente in medicina
– si svolgessero nei giorni “vacanti” (festivi) “acciocché servano
al profitto dei giovani senza distrarli dalle lezioni catedrattiche”:
le lezioni teoriche, che si svolgevano nei giorni feriali, durante
le quali il professore (lettore) leggeva i testi di Aristotele,
Galeno, Ippocrate…
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doc. 16
ASC.,
Camera Capitolina: Cred. XVIII, t. 85
Regolamento
degli studi da osservarsi in Roma, e in tutto lo Stato Ecclesiastico
in virtù della bolla di Nostro Signore Leone Papa XII dei 28 agosto
1824 che incomincia: Quod Divina Sapientia etc., Roma, Stamp. Rev,
Camera Apostolica, 1824. Titolo XXI “Delle Matricole di libero esercizio
in Medicina e Chirurgia”. Titolo XXII “Della Matricola di libero esercizio
in Farmacia”.
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Con
la costituzione “Quod Divina Sapientia” Leone XII riformò il
sistema scolastico dello stato pontificio. Nell’ordinamento degli
studi universitari fu dato maggiore rilievo all’istruzione scientifica.
E' istituito il corso di laurea in farmacia che ha durata biennale,
al termine del quale per l’esercizio della professione si sostiene
un esame con esperimenti pratici davanti al Collegio Medico e al Collegio
dei Farmacisti.
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doc. 17
ASC, Camera
Capitolina: Cred. XVIII, T. 85
“Motu
proprio della Santità di Nostro Signore Papa Leone XII in data 3 gennaro
1826. Sopra il regolamento degli ospedali della città di Roma… Roma
MCCCCXXVI, presso Vincenzo Poggioli Stampatore della Rev. Camera Apostolica”
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L’intervento
di riforma di Leone XII, che seguiva le provvidenze già emanate da
Pio VII per l’integrazione del sistema ospedaliero romano, unificava
la direzione amministrativa di tutti gli ospedali romani nella “Deputazione
di Sanità”, di cui era nominato presidente onorario il Commendatore
di S. Spirito. Ribadito il principio dell’accesso alla carriera ospedaliera
esclusivamente attraverso concorsi pubblici, escludendo il canale
del praticantato, il personale sarebbe stato diviso nelle due categorie
dei “Professori Matricolati” e degli “Infermieri”.
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doc. 18
ASC, Biblioteca
Romana: Stragr. 757/I-II
Museo
di Anatomia Umana nell’Archiginnasio Romano. Tavola incisa in rame.
Da: P. CACCHIATELLI G. CLETER, “Le Scienze e le arti sotto il pontificato
di Pio IX”, Roma, Tip. Delle Belle Arti [1860-1869].
|
Pio
IX nel 1865 implementò le collezioni di preparazioni anatomiche e di modelli
in cera, già esistenti alla Sapienza, istituendovi, in una nuova galleria
da egli fatta erigere, il museo di anatomia umana arricchito di una
raccolta di più di ottocento strumenti anatomici, chirurgici e ostetrici,
acquistati soprattutto dalla fabbrica inglese Wiess.
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doc. 19
ASC, Biblioteca
Romana: Stragr. 757/I-II
Orto
Botanico. Tavola incisa in rame. Da: P. CACCHIATELLI G. CLETER, “Le
Scienze e le arti sotto il pontificato di Pio IX”, Roma, Tip. Delle
Belle Arti [1860-1869].
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Secondo
il dettato dell’ordinamento degli studi di Leone XII (1824): “L’Orto
Botanico della Università, non meno, che i Professori di Chimica,
di Farmacia, di materia Medica somministreranno alla Scuola Clinica
qualunque nuovo o particolare rimedio degno di essere usato a vantaggio
degl’infermi e cognizione degli allievi”. Inaugurato nel 1823
il nuovo Orto Botanico presso il giardino Salviati alla Lungara da
Leone XII che ripristinò anche la cattedra di “Botanica pratica” già
soppressa da Pio VII, l’istituzione universitaria ebbe nuove cure
da Pio IX. Da Virgino Vespignani papa Ferretti fece erigere due grandi
serre a tetto di cristallo, mentre il medico romano Ettore Rolli,
dal 1853 con la carica di “custode” dell’orto, sviluppò importanti
studi sulla flora romana e l’acclimatazione di numerose piante esotiche.
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