Le
malattie più spaventose: peste, vaiolo, malaria
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La peste
Intorno al 1347 giunse in Europa la “morte nera”, causa di violentissime
epidemie e devastazioni che decimavano la popolazione. Si riteneva allora
che la peste si trasmettesse per contatto o per via aerea; dopo ogni epidemia
si bruciavano dunque case e oggetti degli ammalati e si abbandonavano
interi paesi che venivano poi ricostruiti in luoghi più lontani. Dopo
la scoperta delle Americhe, l’arrivo in Europa del topo bianco provocò
un cambiamento della tipologia e nella virulenza della malattia: la nuova
specie più forte e combattiva, ma portatrice di un virus meno violento
per l’uomo debellò il topo nero, portatore della peste nera. Il
nuovo virus ed il progressivo adattamento delle difese immunitarie umane
alla malattia fecero sì che le grandi epidemie tre-quattrocentesche, lasciassero
il posto ad epidemie meno violente, anche se ancora in grado di causare
migliaia di morti. L’ultima manifestazione della peste si ebbe nel 1656,
anno in cui a Roma il rione di Trastevere, “blindato” e circondato da
tutte le sue parti per evitare la diffusione del contagio, venne interamente
decimato.
Il vaiolo
Alla fine del 1700 ci fu una grande scoperta di carattere empirico. Un
medico inglese Edoardo Jenner (1749-1823), allievo di John Hunter,
si accorse per caso che le mungitrici quando si ammalavano di vaiolo guarivano
sempre. Il vaiolo allora era la malattia più terribile. Vi erano ancora
flagelli come la tubercolosi, però il vaiolo colpiva soprattutto i bambini.
C'erano stati già tentativi precedenti risalenti al tardo '600 di indurre
la resistenza alla malattia col sistema della vaiolizzazione, ovvero l’innesto
del vaiolo. Si prelevava, da un malato che stava per guarire, un po’ di
pus e lo si iniettava ad un soggetto sano, provocando il vaiolo: questo
procedimento si dimostrò in molti casi letale, provocando la morte di
molti bambini. La vaiolizzazione era stata promossa dalla moglie dell'ambasciatore
inglese a Costantinopoli (lady Montagu) perché nell'oriente si praticava
da tempo tale sistema. In Italia lo stesso procedimento fu introdotta
dai medici greci che operavano soprattutto a Venezia e trovò un grande
fautore in Benedetto XIV (Papa Lambertini) che cercò di introdurre la
vaiolizzazione nello stato pontificio.
La scoperta di Jenner risolse il problema. Egli prese un po' di pus dalla
pustola di una vacca e lo iniettò nel figlio provocando nel piccolo la
pustola della vaccinazione (che non si chiamava ancora vaccinazione, ma
innesto): il bambino non si ammalò mai di vaiolo. La vaccinazione destò
un interesse grandissimo, anche se ci fu una violenta opposizione da parte
di ambienti conservatori, soprattutto ecclesiastici, che la ritenevano
una manifestazione di empietà a causa della contaminazione fra l’animale
e l'uomo. La vaccinazione venne praticata su larga scala con il prevalere
delle idee libertarie della Rivoluzione francese; divenne la bandiera
della sinistra, dei giacobini. Quando il milanese Luigi Sacco (1769-1836)
diffuse negli stati della Repubblica cisalpina la vaccinazione si registrò
una discesa verticale della morbilità del vaiolo. Nello Stato pontificio
fu un editto del 20 giugno 1822 a rendere obbligatoria la vaccinazione
antivaiolosa: quella della popolazione romana fu tra i compiti attribuiti
al Municipio romano dalla riforma di Pio IX del 1847.
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La malaria
La malaria era una malattia endemica nell’area romana, debellata solo
con gli interventi di bonifica delle aree paludose dell’Agro Romano –
la campagna incolta e spopolata che circondava la Dominante – e dell’Agro
Pontino, realizzati nel Novecento. Fu Giovanni Maria Lancisi il
primo ad intuire la causa della malaria, che fino allora si riteneva provocata
dalle esalazioni dell’acqua stagnante delle paludi, da cui il nome stesso
della malattia. Il Lancisi avendo osservato che la quantità di zanzare
nelle zone paludose era enorme, nel 1716 nel suo lavoro De noxis paludum
effluvis eorumque remediis dimostrò che dal pungiglione dell’insetto
il bacillo passava all’uomo. Alphonse Laveran, premio Nobel, nel
1880 mise in evidenza al microscopio il plasmodio, che si sviluppa nel
fegato dell’uomo, attacca i globuli rossi, si moltiplica e si riproduce.
Alla fine dell’Ottocento Ronald Ross dimostrò che anche gli uccelli
si ammalvano attraverso la puntura delle zanzare, ma non era ancora chiaro
quale tipo di questi insetti fosse effettivamente in grado di trasmettere
la malaria. Nel 1898 infine, Giovanni Battista Grassi individuò
la zanzara anofele quale veicolo di trasmissione della malattia. Il rimedio
contro la malaria era tuttavia noto da lungo tempo. Già dal XVII secolo
infatti si usava il chinino, estratto di corteccia di china che abbassava
la febbre ed era usato nell’America Latina. Attraverso i Gesuiti il rimedio
giunse a Roma nel 1640 e venne distribuito gratuitamente presso l’ospedale
del Santo Spirito, per volere del cardinale Juan del Lugo.
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