La secolare storia dell’Università di Roma, fondata ufficialmente
da Bonifacio VIII nel 1303, è caratterizzata da un andamento non lineare
ma discontinuo, con l’alternarsi di momenti felici di riforma e di successo
a periodi di crisi e forse anche di interruzione. I momenti difficili
sono di solito seguiti da riforme radicali, tali da far pensare ad altrettante
“rifondazioni”.
Con la bolla In supremae praeminentia dignitatis, Bonifacio VIII
istituiva in Roma, Urbs Urbis, uno Studium universitario,
aperto a tutti i settori della cultura. Al momento della fondazione, lo
Studium Urbis era in tutto simile al modello bolognese, ma se ne
distingueva per il ruolo assegnatogli dal pontefice nel suo progetto di
affermazione della potestas universalis del papato. Nella visione
di papa Caetani Roma era il centro della spiritualità cristiana, e, per
la stessa storia millenaria della città, costituiva la legittimazione
delle pretese universalistiche del papato. Lo Studium romano doveva
quindi avere carattere universale e fornire un insegnamento di alta qualità.
La morte di Bonifacio VIII, giunta poco dopo la fondazione dell’università,
influì in modo negativo sugli immediati sviluppi dell’istituizione. I
documenti che riguardano questo periodo sono talmente scarsi da indurre
molti studiosi a dubitare del suo effettivo funzionamento.
Nel 1406, con la bolla Ad exaltationem di Innocenzo VII si ha una
“rifondazione”: siamo di fronte alla rinascita dell’interesse pontificio
per l’università. La Chiesa riafferma la propria giurisdizione sullo Studio
e introduce le materie letterarie che segnano l’inizio del fiorire degli
studi letterari: un carattere distintivo della storia dell’università
romana del XV secolo, poiché a Roma insegnarono alcuni dei massimi esponenti
della cultura umanistica italiana, come Lorenzo Valla, Pomponio Leto,
Domizio Calderoni.
La riforma di Eugenio IV, affidata alla bolla In supremae praeminentia
dignitatis del 1431, che riprende l’incipit di quella di Bonifacio
VIII, è di grande importanza, soprattutto per la soluzione del problema
del finanziamento dello Studium Urbis, affidato alla fiscalità
del Comune attraverso l’assegnazione all’università degli introiti derivati
dalla gabella sul vino forestiero. Tali proventi erano gestiti dal Camerlengo
pontificio - direttamente (se assumeva la carica di cancelliere dello
Studio) o indirettamente attraverso la nomina a tale carica di persona
di sua fiducia - che aveva anche il compito di scegliere i docenti e stabilirne
le retribuzioni. In questo modo sull’università continuava a pesare l’autorità
pontificia.
Nella seconda metà del ‘400 allo Studium Urbis vediamo strettamente
collegati due collegi istituiti per aiutare gli studenti poveri, il Collegio
di Capranica (1456) e quello Nardini (1484). L’insieme dello Studio e
dei due Collegi viene indicato dai documenti dell’epoca come Sapientia.
Nel 1513 papa Leone X Medici volle emanare ancora una volta una nuova
disciplina per l’Università di Roma: la bolla Dum suavissimos atque
urberes fructus di fatto restaurava l’ordinamento del 1431, con la
destinazione esclusiva allo Studio della gabella sul vino forestiero,
con l’introduzione di norme severe per il rispetto dei doveri didattici
da parte dei professori, con l’istituzione di una nuova cattedra, quella
di storia.
I tragici avvenimenti del Sacco di Roma del 1527 interruppero la rinascita
avviata da Leone X: lo Studio fu chiuso e riprese la sua attività sotto
il pontificato di Paolo III Farnese (1534 – 1549) a cui si deve l’inserimento
dell’insegnamento della chirurgia. Un momento importante fu il progetto
di riforma che Giulio III (1550 – 1555) affidò ad una commissione cardinalizia:
al Collegio degli avvocati concistoriali fu conferita l’autorità di assegnare
il dottorato in Diritto civile e in Diritto canonico, al Collegio medico
di Roma quella di assegnare il dottorato in Medicina.
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Tali innovazioni furono riprese e portate a termine da Sisto V (1585 –
1590) che tra l’altro - con bolla 23 agosto 1587 Sacri Apostolatus
- conferì il diritto di nominare il rettore solo al Collegio degli avvocati
concistoriali; la commissione cardinalizia creata da Giulio III fu da
papa Peretti trasformata nella Congregazione stabile pro Universitate
Studii Romani e le fu affidata la guida dello Studio.
L’interesse dei pontefici fu costante nel tempo: ricordiamo ancora papa
Alessandro VII, che fece completare nel 1660 la costruzione della sede
– la grande fabbrica nel rione S. Eustacchio cui aveva posto mano circa
un secolo e mezzo prima Giacomo della Porta ed alla quale aveva lavorato
anche il Borromini, con la cappella di S. Ivo - dotandola di una ricca
biblioteca, detta l’“Alessandrina”. Il pontefice fece inoltre ristrutturare
l’Orto botanico, istituì le nuove cattedre di botanica e di storia ecclesiastica;
chiamò infine maestri illustri alle cattedre di diritto e di medicina.
L’alternanza di momenti positivi con periodi di crisi prosegue per i secoli
XVII e XVIII. In questi anni l’università di Roma annovera tra i suoi
maestri nomi illustri quali Evangelista Torricelli, Marcello Malpighi,
Giovanni Maria Lancisi. Alla vigilia dell’arrivo dei francesi a Roma,
lo Studium Urbis presentava ancora la forma di governo voluta da
Sisto V e la tradizionale articolazione dei corsi in Teologia, Giurisprudenza,
Medicina e Chirurgia, Filosofia e Arti, Lingue antiche.
Prima che si definisse con risolutezza il programma conservatore di restaurazione
della cultura cattolica di Leone XII, Pio VII aveva mostrato ancora aperture
illuminate e intenti progressisti riguardo allo sviluppo degli studi scientifici.
Durante la prima restaurazione papa Chiaromonti istituì i corsi di veterinaria
e mineralogia; quindi tornato a Roma dopo l’occupazione napoleonica creò
nel 1814 la cattedra di fisica affidata a Feliciano Scarpellini ed incardinò
le nuove cattedre di clinica medica e chirurgica, rispettivamente negli
ospedali di S. Spirito e di S. Giacomo. A lui si deve anche la costituzione
dei primi nuclei dei musei universitari di mineralogia e di zoologia.
Durante la Repubblica romana del 1798-99 e nel periodo di occupazione
napoleonica furono elaborati progetti di riforma mai applicati, ma che
evidenziavano con chiarezza l’esigenza di cambiamenti. Fu Leone XII, nella
sua opera di restaurazione, ad occuparsi anche di riforma universitaria,
con la bolla Quod divina sapientia omnes docet, del 1824, che costituì
il nuovo ordinamento scolastico. Papa Della Genga impose il controllo
stretto della ecclesiastica Congregazione degli studi - una sorta
di ministero dell’istruzione - sui programmi e l’organizzazione degli
studi delle università pontificie. In particolare il governo dell’università
di Roma era assegnato all’Arcicancelliere, figura un tempo subordinata
al rettore che ora diventava la massima autorità universitaria.
All’Università romana avrebbe dato ancora sviluppo e decoro il riformismo
di Pio IX nell’ultimo ventennio del temporalismo pontificio: nel 1870
la Sapienza, con tutta la sua attrezzatura scientifica e la ricca Biblioteca
Alessandrina, passò ad essere l’Università statale di Roma italiana.
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