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Il problema della bonifica si evidenziò in tutta
la sua gravità, nel momento in cui la popolazione si espanse al
di fuori delle mura e nei territori dell’antico distretto. Era necessario
riportare detti luoghi, molti dei quali acquitrinosi e in alcuni
casi addirittura paludosi, ad una condizione di salubrità per consentire
la costruzione di abitazioni residenziali,
rifornite con acqua e luce, e l’insediamento di attività agricole
ed industriali. (doc.
33, 34 e 35)
Nella maggior parte dei casi si scelse la strada della costituzione
di consorzi [1],
detti impropriamente idraulici ma che effettivamente costituirono
organi di vera e propria difesa igienica dell’Agro Romano. Il loro
funzionamento era regolato dalla legge, come pure dalla legge fu
regolato il piano tecnico regolatore delle opere di bonifica
[2].
Nel 1900 unificate tutte le disposizioni in materia di consorzi
inserendo le medesime nelle norme concernenti la bonifica dell’Agro
Romano e, nel 1912, furono riuniti tutti i consorzi speciali in
un unico Consorzio Generale dei Consorzi Idraulici.
Il ruolo svolto dai consorzi idraulici e di bonifica nel migliorare
le condizioni del suolo fu chiaro alla conclusione della prima guerra
mondiale, quando molte cooperative edilizie presentarono richieste
di licenza per l’urbanizzazione [3]
di ampie zone che erano state oggetto di vigilanza e presidio proprio
da parte di questi. Una parte di Agro Romano molto richiesta fu
quella attraversata dall'Acquedotto Vergine (in particolare le località
de La Rustica e di Tor Sapienza). Mentre cominciavano le discussioni
in merito alla redazione di un nuovo Piano Regolatore per Roma,
il 5 agosto 1922, su proposta della V Ripartizione, l’ufficio che
aveva il compito di studiare e produrre materialmente il piano regolatore,
fu proposto alla Giunta un nuovo Regolamento d'Igiene per il Comune
di Roma, inteso a disciplinare la vigilanza sanitaria degli acquedotti,
così da evitare che si potessero concedere licenze di costruzione
dannose per la sicurezza dei condotti dell’acqua.
Tale regolamento fu discusso, unitamente alle richieste di costruzione
per la due località de La Rustica e di Tor Sapienza, all’interno
di una Commissione nominata proprio per questo scopo. Si svolse
un acceso dibattito che portò la Commissione ad una prima risoluzione
contraria a concedere le autorizzazioni a costruire in quelle zone
fuori le mura di Roma, in quanto le cattive condizioni di conservazione
dell'Acquedotto Vergine, sia nelle sue parti a corso esterno che
in quelle interrate, avrebbero richiesto un minuzioso scandaglio
[4] per accertare il suo esatto percorso
e quindi, la sua perfetta impermeabilizzazione
[5]: operazioni ambedue altamente costose
[6]. In un secondo momento, però, la
medesima Commissione, riconoscendo l'urgenza di mettere a disposizione
case nuove per la popolazione romana, in continua crescita, e di
permettere l’espansione verso nuove zone di Roma finì per consentire
l'urbanizzazione delle zone limitandosi a chiedere un aumento della
distanza di sicurezza dal tracciato, visibile o presunto, dell’Acquedotto
Vergine (m.10 per i tratti sopra terra e m.150 per quelli interrati).
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