1. La mobilità nella
Roma dell'ottocento: le carrozze omnibus
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Il trasporto urbano, a differenza del servizio di
nettezza pubblica, a Roma non ha per tutto l’Ottocento la connotazione di un
servizio cui debba provvedere, con un preciso onere finanziario, l’autorità
pubblica. Servizi di trasporto “collettivo” nella capitale papalina si
attivano intorno alla metà del secolo per iniziativa privata, con carrozze
simili alle diligenze postali, trainate da uno o due cavalli, chiamate con
termine latino omnibus (“per tutti”).
La prima linea di omnibus fu attivata (sembra già nel giugno 1845) sul percorso
piazza Venezia - S. Paolo fuori le mura. Il 7 luglio
1856, inaugurata la ferrovia Roma – Frascati (la prima strada ferrata dello
Stato Pontificio) (doc. 1) sarebbero iniziate le
corse di un’altra linea di omnibus, sempre da piazza
Venezia alla nuova stazione ferroviaria, provvisoriamente attestata a Porta
Maggiore (doc. 2).
Il “Regolamento sulle Vetture ed altri mezzi di trasporto” emanato dal
direttore generale della polizia pontificia, monsignor Antonio Matteucci,
il 30 luglio 1857 equiparava gli omnibus alle vetture da piazza ,
stabilendo che “Chiunque voglia tenere ed esercitare in Roma negozio di
vetture da rimessa, da piazza, o da viaggio per la Comarca, o altri paesi
dello Stato, riportata che ne abbia la patente dall’Eccell.mo Municipio di
Roma, dovrà pure domandarne ed ottenerne la licenza dalla Direzione Generale
di Polizia”. A questa si doveva presentare insieme alla patente comunale
una domanda ove erano indicate le generalità, il numero delle vetture
possedute, il loro tipo e il numero dei cavalli, l’ubicazione della rimessa
ed altri dati che erano trascritti in un registro presso la Direzione di Polizia.
Concessa la licenza, questa era trasmessa alla Presidenza della Regione o Rione
in cui l’esercente aveva dichiarato di tenere il proprio “negozio” con la
rimessa. Era infatti l’incaricato di pubblica sicurezza che presiedeva a
ciascuna delle 14 circoscrizioni in cui era divisa la città a rilasciare la “licenza
di vettureggiare”. Il regolamento oltre a stabilire i requisiti delle
vetture e le norme sul loro esercizio, indicava i luoghi e le piazze ove i
diversi tipi di veicoli potevano stazionare: “Gli omnibus – vi si
stabilisce – devono situarsi in fila nella via del Gesù in direzione alla
via di S. Venanzio, e nella piazza di Monte Citorio a
sinistra della guglia. Quelli poi che appartengono all’Amministrazione della
Strada ferrata si situeranno in fila prossimamente all’officio di Agenzia” [1]
. E dettava anche precise norme sulla loro
conduzione: un piccolo “codice della strada” che indicava anche le
sanzioni civili e penali in cui incorrevano i contravventori. Norme generali
sulle “Discipline relative alle strade e piazze, e alla sicurezza e
comodità del transito”, cioè disposizioni che regolavano il transito dei
veicoli nell’area urbana troviamo anche nel “Regolamento edilizio e di
pubblico ornato” emanato dal Comune il 30 aprile 1864
(Titolo IV): a che queste norme di “polizia urbana” fossero rispettate concorrevano
l’autorità municipale e quella di pubblica sicurezza: i “Presidenti
Regionari” coadiuvati dalla gendarmeria pontificia.
Il primo servizio di collegamento di luoghi interni all’abitato con
omnibus, regolamentato con partenze regolari ad orario prestabilito fu
inaugurato il 20 febbraio 1866, sul tragitto piazza del Popolo – S.
Pietro. Le carrozze erano dipinte di giallo e nero, con accesso posteriore
attraverso una porta munita di scaletta con due sedili affrontati, disposti
longitudinalmente per tutta la cabina. Esse dovevano recare un cartello con
l’indicazione del luogo di destinazione della corsa,
del prezzo del biglietto e del numero dei posti disponibili.
Dopo il 1870 (doc.
3), quando Roma è annessa allo stato unitario, le prime norme
organiche in tema di trasporto pubblico nella capitale italiana – già in via
di rapido sviluppo urbanistico - sono emanate dall’amministrazione municipale
nel 1874. Si tratta del “Regolamento per le vetture pubbliche e per le
vetture – omnibus nella città di Roma deliberato dal Consiglio Comunale,
approvato dalla Deputazione Provinciale e dal Ministero dell’Interno” e
pubblicato dal sindaco Pianciani il 5 febbraio 1874. In esso si
stabiliscono le regole per la concessione delle licenze tanto alle “vetture
di piazza” (le botticelle, equivalenti ai moderni taxi) quanto
degli omnibus, requisiti e codice di comportamento dei conduttori,
caratteristiche standard delle vetture. Vi si definiscono inoltre le
competenze del nuovo corpo di polizia municipale – quelli che noi oggi
chiamiamo “vigili urbani”, allora chiamati “guardie di città”
- in ordine alle “contravvenzioni”. Le vetture omnibus: “Avranno
internamente la capacità massima per dodici persone, disposte a sei per ambo
i lati (…) saranno distinte fra loro con un numero d’ordine, il quale, per
cura del Comune ed a spese del concessionario, sarà dipinto all’esterno in
modo assai visibile, né potrà essere nascosto, cancellato, o variato
arbitrariamente dal concessionario (…) dovranno inoltre essere fornite di due
grandi fanali, uno dei quali dovrà essere collocato nella parte anteriore
della vettura, ed in modo che questa ne sia all’interno ben illuminata”.
La “licenza di vettureggiare” ai proprietari era rilasciata dalla
Giunta Municipale e comportava il pagamento della tassa di posteggio. “Il
richiedente deve essere iscritto nel registro della Questura secondo l’art.
57 della legge 20 marzo 1865 sulla pubblica sicurezza, esibirne di poi al
Sindaco il certificato, unitamente a quelli da cui risulti aver superato gli
anni 18, essere di costituzione robusta, di nota sobrietà e fornito di una
piena cognizione dei luoghi e delle strade, nonché dell’arte di condurre i
cavalli. Ove si verifichino le condizioni sudette, il Sindaco farà dall’Ufficio
di Polizia Urbana rilasciare al richiedente la licenza di vettureggiare.
Sulla medesima, oltre il numero ed i connotati del conduttore, si
registreranno il nome del concessionario della vettura ed il numero di quelle
che gli appartengono”. Del personale dell’omnibus, oltre il
conducente, faceva parte anche un inserviente, che secondo il regolamento
doveva “sedere posteriormente ed al posto prefissogli all’infuori della
vettura (…) munito di un fischietto per dare al conduttore il segnale della
partenza, e di una tromba o corno da caccia per avvertire i passeggeri, che
attendono alla stazione, dell’arrivo e della partenza dell’omnibus”.
L’amministrazione comunale stabiliva per gli omnibus anche i percorsi che
dovevano seguire e le tariffe passeggeri. Il regolamento fissava
inoltre il numero massimo di vetture adibite su ciascuna linea di
servizio interno: “Linea del Corso N.° 6, del Governo Vecchio N.° 9,
di S. Giovanni N°. 5, di Ponte Sisto N°. 6, della ferrovia N.° 5, di S. Maria
Maggiore N.° 6, di Ripetta N.° 4, di Tordinona N.° 4, del Macao n°. 6, del
Babuino N.° 4, della Lungara N.° 4”.
In tutto dunque nel 1874 erano ufficialmente
localizzati 11 capolinea di omnibus e le vetture in circolazione potevano
essere al massimo 59 [2].
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2. Dal cavallo alla trazione elettrica:
la Società Romana
Tramways e Omnibus
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Dopo il 1870 dunque - sebbene il rapido sviluppo edilizio e demografico di
Roma capitale ponessero subito all’ordine del giorno l’esigenza di servizi di
trasporto urbano più estesi ed efficienti, a tariffe controllate - il settore
rimase per alcuni anni regolato unicamente dalla concorrenza fra le piccole
imprese private concessionarie e dalle loro convenienze. Ciò fino al
1876 quando il Comune riuscì ad impostare un’azione di disciplina, con la
prima “convenzione” stipulata con la “Società Romana degli Omnibus” di
F. Marini, cui nel 1885 ne seguì una seconda. Col contratto di durata
quindicennale, approvato dal Consiglio Comunale il 14 luglio 1885 (e
stipulato il 20 agosto successivo) alla Società Romana degli Omnibus era
imposta una diminuzione delle tariffe, la modifica di alcuni percorsi e
l’attivazione di nuove linee.
Intanto anche a Roma si sperimentava l’innovazione tecnologica. Il nuovo
nell’Italia di fine Ottocento, ancora industrialmente arretrata, proveniva
soprattutto - insieme ai capitali finanziari e all’iniziativa imprenditoriale
- dai più industrializzati paesi del nord Europa. E le “meraviglie” del
progresso avevano nomi stranieri, che entravano subito nell’uso comune: con
termine inglese si chiamò la prima delle innovazione nel campo dei
trasporti: il tramway a cavallo. Il termine – la parola way (via)
è preceduto dal termine tram che in origine indicava i carrelli
scorrenti su rotaie, utilizzati nelle miniere inglesi – era usato per una
vettura (molto simile al futuro tram elettrico) a
trazione animale, il cui movimento era facilitato dallo scorrimento su rotaie
di ferro (doc. 4).
La prima linea di questo tipo fu attivata, per concessione governativa, il 2
agosto 1877 sul percorso suburbano piazza del Popolo – Ponte Milvio. La
gestiva la “Societé Anonime des Tramways et Chemins de Fer Economiques” che
aveva sede a Bruxelles, dai romani chiamata semplicemente “la Belga”, che il 1 luglio
1879 iniziò anche l’esercizio della “tramvia a vapore” Roma – Tivoli.
Le prime concessioni per l’esercizio di tramways a cavallo lungo tratte
urbane furono rilasciate all’impresa di G.B. Marotti per il percorso piazza
Montanara – S. Paolo e alla società di F. Marini per i percorsi piazza
Venezia - via Nazionale – Stazione Termini e Stazione
Termini – S. Giovanni: le tre nuove linee entrarono in funzione nel 1880 (doc. 5).
Negli anni a seguire la diffusione del nuovo mezzo di trasporto collettivo
coincise con lo sviluppo della “Società Romana degli Omnibus” di F.
Marini. Questa nel 1885 acquisì tanto la linea suburbana lungo la Flaminia che quella
urbana per S. Paolo, costituendosi dal 1 gennaio 1886 in “Società Romana
Tramways e Omnibus”. Si venne così delineando quel regime di monopolio che
caratterizzò la storia del trasporto urbano nella capitale per i successivi
venti anni. Nel 1888 infatti la
S.R.T.O. ebbe una nuova concessione di linee omnibus,
riscattando successivamente le nuove linee che nel 1889 lo stesso
Comune aveva accordato, per limitare il monopolio che si profilava, ad una
diversa ditta, la “Società Italiana di Omnibus Tramways e Trasporti”.
Nel 1894 la “Romana” - che allora gestiva 11 linee di omnibus
e 9 di tramways a cavallo - iniziava a
sperimentare il nuovo tramway elettrico sulla
linea Porta Pinciana – Museo Borghese (doc. 6). Nonostante le
diseconomicità e le difficoltà insite nel sistema di trazione e nella
gestione (con tutte le attrezzature di stalle, magazzini di vettovaglie per
cavalli) che i sistemi di trasporto descritti comportavano, a Roma bisogna
attendere la fine del secolo per l’introduzione della più avanzata tecnologia
del trasporto a motore elettrico, già in uso da anni nelle maggiori città
europee. Ciò avviene per cause “ambientali” (carenza di forza motrice, in
assenza di adeguate strutture di produzione di energia elettrica) e
“tecniche”: accesa era la controversia fra i tecnici circa il sistema di
alimentazione che poteva essere ad accumulatori, a conduttore
sotterraneo o ad accumulatore aereo. Anche il sistema di percorrenze, con i
vincoli orografici e le caratteristiche “pedonali” del tessuto viario della
città storica, avrebbe posto notevoli problemi allo sviluppo dei tracciati
della rete elettrificata, in mancanza di un piano definito di allargamento
delle sedi stradali e di identificazione di nuovi percorsi di penetrazione,
con l’apertura di grandi arterie di collegamento. Perché questo piano si
delineasse bisognerà appunto attendere lo scorcio del secolo, quando con gli
“sventramenti” che avrebbero fatto sparire tanti vicoli e piazzette della
città medievale, rinascimentale e barocca, sarà data attuazione al
piano regolatore del 1883.
Anche a Roma si iniziò con linee sperimentali, come quella
dell’ingegner Cattori, a conduttore sotterraneo lungo la via Flaminia fuori
porta del Popolo, inaugurata da re Umberto il 6 luglio 1890. Per la
definitiva introduzione del tram elettrico urbano nella capitale
bisogna attendere però il 19 settembre 1895 quando – aumentata la produzione
di energia elettrica per la città con lo sfruttamento del salto di Tivoli -
fu attivata dalla S.R.T.O. la linea Termini – S.
Silvestro ad alimentazione con cavo aereo (doc. 7). La polemica per
l’ingombro del materiale elettrico – parte dell’opinione pubblica lamentava
la bruttezza deturpante della rete di fili che si frapponevano fra
l’occhio del cittadino e il cielo sopra la città - impose poi la
trasformazione del sistema in misto: ad accumulatori e ad alimentazione
aerea, stabilendosi che tale rimanesse per le linee delle zone centrali.
Negli anni successivi l’estensione e l’elettrificazione
della rete dei tramways ebbe a protagonista la S.R.T.O (doc. 8). La “Romana” nel 1908 esercitava ancora 6 linee di omnibus
(doc.
10): due di esse furono mantenute anche dopo la guerra,
rispettivamente fino al 1920 e al 1921. Ma, cessate le corse
dell’ultimo tram a cavalli nel 1904, era soprattutto con le 16 linee di
tramways a trazione elettrica allora gestite dalla società privata, che
questa monopolizzava l’erogazione di un servizio pubblico primario, in
una città con una popolazione che ormai raggiungeva il mezzo milione di abitanti.
L’inadeguatezza della rete elettrificata, la vetustà del materiale
rotabile e la scarsità delle vetture in esercizio, a fronte delle alte
tariffe che la società poteva imporre in assenza di concorrenza, erano
carenze tutte molto lamentate dalla cittadinanza, soprattutto dalle classi
lavoratrici, con ampia eco sulla stampa locale. Così l’amministrazione
comunale fu indotta a considerare la possibilità di municipalizzare il
trasporto pubblico. A spingere in questa direzione concorrevano non solo
considerazioni di carattere sociale, ma anche argomentazioni tecniche
analoghe a quelle che nel 1905 avevano condotto al completamento della
nazionalizzazione delle ferrovie. Anche i tram viaggiavano su lunghi percorsi
di rotaie: la messa in opera di materiale rotabile di standards diversi,
lavorati da gruppi di operai diversi, cui si aggiungevano gli addetti
comunali alla sistemazione del selciato contrastavano con la funzionalità
tecnica dell’esercizio. L’estensione della mano pubblica sulla gestione dei
“servizi tecnologici” si poneva ormai all’ordine del giorno in tutti i
maggiori agglomerati urbani del Regno. Lo stesso governo Giolitti nel 1903
emanando la legge n. 103 del 29 marzo per la municipalizzazione dei servizi
di pubblica utilità, aveva indicato ai comuni la strada da percorrere. Nel
novembre 1907 vinse le elezioni al Comune la coalizione progressista
capeggiata da Ernesto Nathan, con un programma elettorale che fra i punti
qualificanti poneva la creazione delle aziende municipali dell’elettricità e
dei trasporti. Fu dunque la giunta Nathan, con il sostegno delle forze
politiche del “blocco popolare”, a dare attuazione al progetto.
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3. Nasce l'azienda dei trasporti municipale
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Il 13 maggio 1908 la giunta Nathan, avvalendosi delle facoltà attribuite alle
amministrazioni comunali dalla legge del 1903 sulle municipalizzazioni,
presentava al Consiglio Comunale una proposta per la “Costruzione ed
esercizio di nuove linee tramviarie da parte del Comune”. Il progetto era
accompagnato da un’approfondita analisi della storia dei trasporti a Roma che
individuava nel regime pressoché di monopolio guadagnatosi dalla “Società
Romana Tramways Omnibus” la causa principale delle carenze
del servizio, a fronte delle alte tariffe praticate.
Compendiandosi in un accurato piano tecnico e finanziario, il “Progetto
per la rete tramviaria municipale” messo a punto dall’assessore al
“Tecnologico” Giovanni Montemartini, fu discusso ed approvato quasi all’unanimità dal Consiglio Comunale nella seduta
del 20 maggio (doc. 9) e tre anni dopo,
inaugurata il pomeriggio del 21 marzo 1911 la prima delle due linee previste
– il collegamento della centrale piazza Colonna con il quartiere operaio di
S. Croce – l’azienda dei trasporti municipali di Roma era una realtà
operante. Completata anche la seconda linea prevista (la circolare per il
collegamento di piazza Colonna con il quartiere d’espansione di viale della
Regina ed il nuovo Policlinico) la sfida era quella di realizzare una
gestione economica dell’impresa dei trasporti municipale, per procede gradatamente,
dopo una fase di conduzione mista, con lo scadere delle concessioni della
S.R.T.O., al riscatto di tutta la rete tramviaria esistente. Allo scopo
avrebbe concorso anche l’altra municipalizzazione inserita nel programma con
cui la giunta bloccarda aveva vinto le elezioni. Approvato infatti nella
seduta del 22 maggio 1908 il progetto per l’impianto dell’”Azienda Elettrica
Municipale” e realizzata la centrale termo-elettrica sulla via Ostiense (che
entrò in esercizio il 1 luglio 1912) il Comune si sarebbe assicurato anche la
produzione della forza motrice, sottraendo all’altro gruppo privato che
gestiva in regime monopolistico settori strategici dei servizi di pubblico
interesse a Roma – la “Società Anglo Romana per l’Illuminazione” – il
monopolio della produzione e distribuzione dell’energia elettrica.
Il complesso dei progetti messi in cantiere dall’amministrazione comunale
avrebbe dunque inciso sulla vita di tutti i romani. Con la progressiva
assunzione dell’esercizio diretto dei servizi di trasporto ed il
miglioramento della qualità e rapidità della mobilità cittadina, si sarebbe
data risposta alle istanze per la modernizzazione e per imprimere nuovo
dinamismo economico alla capitale umbertina come desiderato dai ceti medi
impiegatizi, dalla borghesia dei commerci e delle professioni. Ma
l’iniziativa della giunta Nathan, che oltre alla compagine della
democrazia radicale, comprendeva – a rappresentare gli interessi della
“classe operaia” - anche esponenti del socialismo riformista e rappresentanti
della “Camera del Lavoro”, voleva farsi interprete anche della domanda
sociale che saliva dalle classi lavoratrici. Di queste si guadagnava il
consenso affrontando in primo luogo il problema del contenimento del
carovita: il biglietto del tram fu fissato a 10 centesimi - un prezzo più
economico di quello imposto dalla S.R.T.O. - prevedendosi anche una
tariffa popolare a 5 centesimi, per i lavoratori, nella fascia oraria del
primo mattino (dall’inizio delle corse alle 5,30 fino alle 8). Inoltre si ponevano
le basi per avviare a soluzione altri importanti nodi problematici dello
sviluppo sociale della città, in particolare la “questione degli alloggi”.
Alla carenza delle abitazioni e al caro-alloggi, spesso in condizioni di
precarietà igienica e sanitaria, della città storica, una mirata politica dei
collegamenti, a condizioni economiche, con le nuove periferie, avrebbe
incentivato la ripresa dell’edilizia. La costruzione dei nuovi quartieri
d’espansione, con l’iniziativa delle cooperative edilizie, avrebbe permesso
ai ceti meno abbienti di conquistare nuovi spazi di vita sociale,
sperimentando dimensioni abitative salubri e decorose.
La nascita delle municipalizzate, segnò però anche sotto un altro aspetto il
progresso delle classi lavoratrici romane. Queste per la natura stessa del
tessuto economico cittadino, privo di avanzate strutture produttive
industriali, fin dall’avvento dello stato unitario - uno stato dai poteri
fortemente accentrati, in una capitale politica in rapida espansione edilizia
e di apparato – si caratterizzavano per profili specifici. Se una massa
irrequieta di manovali, anche in ragione dei periodici flussi migratori
dalle campagne più povere, si addensava a Roma nel precario settore dei
lavori edilizi, i ceti operai più consapevoli ed emergenti erano
rappresentati dalle categorie professionali legate allo sviluppo dei servizi
e delle commesse pubbliche della città amministrativa e terziaria (tipografi,
vetturini, ferrovieri, tramvieri, operai tornitori e meccanici…).
Le “imprese industriali” delle aziende municipalizzate rappresentarono
dunque un alveo “istituzionale” nel quale una vasta compagine di tecnici,
maestranze qualificate ed operai di varia specializzazione – chiamati a
riempirne gli organici e ad erogarne i servizi - poté plasmare la propria
identità di classe produttiva, acquistare consistenza e dignità contrattuale:
divenire categoria professionale estesa e forte.
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4. I tramvieri: lavoro, emancipazione
sociale, vita quotidiana
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Rileggiamo ora le cronache di questi anni soprattutto dal
punto di vista del soggetto collettivo che è il principale protagonista della
nostra “storia”: i tramvieri, soffermandoci sui fatti ed i dati che più ci
aiutino a cogliere il profilo sociale, la cultura del lavoro, il sistema di
valori ideali condivisi che hanno caratterizzato l’essere e la storia di una
delle più consistenti categorie professionali a Roma, fra quante
abbiano maggiormente contribuito nel corso del Novecento a dare forma e
spessore all’identità collettiva delle classi lavoratrici della capitale.
Quale fosse la forma organizzativa del primo impianto dell’A.T.M. –
localizzato a S. Croce il deposito dei tram con annessa officina
di riparazione e magazzino ed in via Volturno una sottostazione elettrica -
lo rileviamo dal regolamento approntato nel 1910 (doc. 12).
A capo dell’azienda si collocava il Presidente e la Commissione
Amministratrice designata dal Consiglio Comunale; il direttore tecnico – un
ingegnere scelto in base a concorso per titoli – ne dirigeva tanto il settore
amministrativo (finanziario - contabile) che quello tecnico. I servizi
tecnici erano divisi in 5 reparti: movimento, deposito, magazzino, officina
riparazioni, manutenzione e trazione: ai primi tre erano addetti il
capo-movimento (coadiuvato dagli ispettori), il capo-deposito, il magazziniere;
agli altri due i due ingegneri che coadiuvavano il direttore. Il personale
salariato oltre che da 6 capi squadra e 6 ispettori era costituito dai
fattorini, conducenti, operai (di 1a, 2a, 3a “classe”) cui si aggiungevano i
cantonieri e gli “avventizi”, utilizzati questi ultimi in caso di malattia
del personale in organico o per l’effettuazione di corse oltre l’orario
(erano perciò retribuiti solo quando lavoravano). L’officina delle
riparazioni diretta da un ingegnere, era retta da un capo-officina alle
cui dipendenze erano poste 4 squadre, composte dai caposquadra, 2
elettricisti, 2 falegnami, 2 meccanici, 2 verniciatori. Agli ordini del
capo-movimento vi erano 2 operai per le piccole riparazioni cui le vetture in
circolazione potevano essere sottoposte direttamente; inoltre 2 operai
avventizi dovevano prestare la loro opera per ogni 5 automotrici messe in
circolazione. L’esercizio della sottostazione di trasformazione era
assicurato da 2 squadre composte oltre che dal capo-squadra da un macchinista,
un elettricista ed un elettricista specialista per la batteria degli
accumulatori, più un numero variabile di manovali avventizi. La manutenzione
del binario e della linea aerea era affidata ad una squadra composta da un
capo-squadra, 2 elettricisti, 2 meccanici ed ancora da un numero variabile di
manovali avventizi. L’Azienda avrebbe tenuto ogni anno un corso per aspiranti
conducenti. A criteri di trasparenza amministrativa e tutela sociale si
ispiravano le norme che regolavano le assunzioni e il trattamento economico
del personale. Per concorso erano reclutati i tecnici disegnatori e gli
impiegati amministrativi e contabili (i titoli di studio richiesti
variavano dal diploma di perito industriale, alla licenza liceale o del
“Regio Istituto Tecnico”, dal diploma di ragioneria alla licenza ginnasiale o
tecnica). Esperienze di lavoro precedenti e una prova d’idoneità si chiedeva
ai capi movimento, deposito, officina. I salariati avrebbero dovuto sostenere
esami pratici, saper leggere e scrivere e non superare i 35 anni d’età; i
conducenti essere muniti di certificato d’idoneità governativo per la
conduzione di vetture elettriche e - come i fattorini - possedere
la licenza elementare. Il trattamento economico si basava
sull’inquadramento in 7 “gradi”: ai primi 3 era ascritto il personale
stipendiato mensilmente (ingegneri, tecnici-disegnatori, impiegati, capo
deposito, magazziniere, capi officina, capi movimento); i capisquadra e
gli ispettori (appartenenti al 4° grado) ricevevano la paga quindicinale.
Ai gradi dal 5° al 7° appartenevano i salariati: conducenti, fattorini ed
operai che erano retribuiti settimanalmente. Il salario non copriva la
malattia, ma un meccanismo di compensazione era introdotto con il versamento
da parte dell’azienda di un fondo annuale ad una cassa di mutuo soccorso, che
avrebbe elargito sussidi ai tramvieri in difficoltà. I salariati erano
inoltre integrati nel sistema previdenziale da poco varato dal governo
Giolitti con l’iscrizione alla “Cassa Nazionale di Previdenza per la Vecchiaia e
l’Invalidità degli Operai”, cui erano corrisposte dall’azienda 6 quote
annuali di 6 lire per ogni iscritto. Altro elemento di rilievo era il sistema
di avanzamenti introdotto dal regolamento: le promozioni si svolgevano per
merito ed anzianità dalla 1a alla 3a categoria dei conducenti, fattorini e
operai; il passaggio da conducenti/fattorini a ispettori e da operai a
capisquadra era ad arbitrio dell’azienda (valevano i criteri di
fiduciarietà). Il carico di lavoro per i salariati era di 63 ore a
settimana, salvo il diritto al riposo, con 1 giorno di congedo
retribuito ogni 15 di lavoro, cui si aggiungevano 10 giorni di congedo
retribuiti ogni anno. Si prevedeva la distribuzione degli utili
di bilancio nella misura del 22% al personale dei salariati ed impiegati “da
ripartirsi in ragione dello stipendio o salario percepito”: punto
qualificante questo, in base ai principi innovativi in tema di rapporti fra
capitale e lavoro, del programma economico-sociale del “blocco popolare”. I
capi squadra e gli ispettori avrebbero percepito 6 lire al giorno. La
paga massima di un conducente era fissata a 4 lire, quella di un operaio
poteva raggiungere le 4,50 lire, quella di un fattorino 3,70 lire: allora le
retribuzioni massime dei conducenti e dei fattorini della S.R.T.O. erano
rispettivamente di 3,50 e 3,25 lire giornaliere.
Mettiamo a confronto i dati descritti con quelli del “Memorandum” che
il personale della “Romana” riunito in assemblea il 19 dicembre 1907
presentò al neoeletto consiglio comunale per denunciare l’iniquità delle
condizioni di lavoro cui era soggetto, chiedendo l’intervento del Comune per
dirimere il conflitto che l’opponeva all’impresa. “Nel 1901, furono
necessari sette giorni di sciopero per ottenere un giorno di riposo pagato su
ventinove di lavoro… Nel 1904, abbisognarono nove mesi d’intensa agitazione
– perché – la Società
contribuisse con un minimum annuale di L. 17000 alla formazione di una cassa
per la vecchiaia per un personale che ascende a circa duemila individui… Nel
1906, occorsero diciassette giorni di sciopero per
ottenere venticinque centesimi di aumento sulla paga giornaliera…” [3]
ricordavano i tramvieri della S.R.T.O. Ora – continuavano - si doveva
proseguire la lotta contro l’appiattimento verso il basso delle paghe, lo
sfruttamento dell’apprendistato nell’officina, per chiedere l’inquadramento
degli apprendisti e degli operai avventizi, l’applicazione della legge sul
riposo settimanale, l’equa retribuzione del lavoro straordinario, la contribuzione
dell’azienda alla cassa mutua e malattia, l’indennità di fine rapporto e
criteri certi e trasparenti negli avanzamenti, da sostituirsi alle
pratiche discrezionali dell’azienda.
In questo quadro è facile comprendere dunque quale fatto dirompente
rappresentasse l’affacciarsi dell’azienda pubblica fra i contesti d’impresa
della realtà cittadina, in rapporto alla spinta progressiva che questa era in
grado di esercitare - col più razionale modello di rapporti fra capitale e
lavoro che ne regolava l’organizzazione - nella direzione di un maggior
riconoscimento dei diritti dei ceti operai.
Il percorso non sarebbe stato naturalmente facile, né privo di ripercussioni
sulla “tenuta politica” dell’amministrazione democratica, in una situazione
in cui lo stesso movimento sindacale si presentava diviso all’appello,
indebolito da forti contrapposizioni ideologiche: l’ala
anarco-sindacalista nel 1907 era uscita dalla Camera del Lavoro,
fondando l’alternativa “Lega Generale del Lavoro”. Ciò mentre alle organizzazioni
socialiste cominciavano ad opporsi le associazioni professionali cattoliche
(come l’”Unione Tramvieri” che nel 1909 contava 300 iscritti) particolarmente
attive negli anni dell’amministrazione Nathan nel promuovere scioperi fra le
categorie dei pubblici servizi, come i netturbini e i tramvieri. E’ in
questo clima che sarebbe maturato il duro scontro
della primavera del 1910, quando esplose la protesta dei tramvieri della
S.R.T.O, prima assecondata dalla società per ottenere condizioni più
favorevoli alle concessioni ed ostacolare i progetti di municipalizzazione (doc. 11),
poi repentinamente repressa, con la sospensione dal lavoro degli
organizzatori dello sciopero. La stabilità della coalizione democratica, fu
messa allora a dura prova. La giunta, costretta su pressione del
prefetto a mettere in campo le guardie municipali per assicurare la
circolazione dei mezzi, con le accese proteste della componente socialista
del Consiglio Comunale, riuscì comunque a tenere il livello dello scontro.
Mantenendo di fronte alla S.R.T.O. un atteggiamento fermo, di “neutralità
armata” come si espresse Nathan in Consiglio Comunale, contribuì a
comporre la vertenza che si risolse con la riammissione dei sospesi e lievi
aumenti salariali.
Che allora tenesse soprattutto il quadro di riferimento generale del progetto
democratico, ispirato al principio autenticamente liberale, del
coinvolgimento di tutte le componenti sociali e produttive a definire il
piano di sviluppo della città, lo dimostra la storia, che si snodava nello
stesso torno di anni, della “Società anonima cooperativa per la costruzione
di case economiche per il personale della Società Romana Tramways Omnibus”
fondata l’11 novembre 1908. Il disegno dello spazio urbano - che doveva definire
il sistema dei servizi, i luoghi della vita e della produzione nella città -
attraverso gli strumenti partecipativi dell’amministrazione democratica,
avrebbe suscitato straordinarie energie emancipatrici e attivato risorse
profonde nelle classi lavoratrici, come forse a Roma non accadrà
mai più. Varato nel 1909 il nuovo piano regolatore, questo prevedeva
l’urbanizzazione delle aree fuori porta S. Giovanni, con la costruzione del
collettore fognario ed il disegno dell’attuale piazza Re di Roma lungo la via
Appia, non lontano dai depositi S.R.T.O. e A.T.M. a porta Maggiore e S.
Croce. Qui, con il progetto presentato dalla cooperativa ed approvato
dalla Commissione edilizia municipale il 20 giugno 1911, per iniziativa dei
lavoratori dei trasporti sorgerà il “Quartiere dei tramvieri”, che
occuperà il vasto isolato fra le vie Monza, La Spezia, Orvieto, Voghera,
Foligno, Terni . Un complesso di 13 fabbricati e “735 abitazioni con un
totale di 2170 ambienti” per “la numerosa classe dei tramvieri -
ormai - impazienti d’oltre attendere a cagione della grave e conosciuta
difficoltà a trovare alloggi”, come Felice Giammarioli, presidente della cooperativa scrive il 3 aprile in una
lettera indirizzata al sindaco per sollecitare il rilascio della licenza
edilizia (doc. 13). Questo vasto comprensorio
abitativo, inaugurato nel 1914 dal sindaco Nathan e visitato dal re con le
unità alloggiative di standard decoroso, l’edifico dei “bagni”, i locali
comuni “di intrattenimento”, gli spazi attrezzati dei cortili, ancora oggi,
dà identità sociale al quartiere S. Giovanni.
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5. La crisi della grande guerra
|
Negli anni che precedono la prima guerra mondiale l’impresa dei trasporti municipali
ebbe pieno successo; e quelli erano anni di relativo benessere anche per i
tramvieri che potevano a ragione definirsi una “aristocrazia operaia”. “Il
pubblico accoglieva molto favorevolmente le linee municipali che mettevano a
sua disposizione un servizio rapido, fatto con vetture comode, con una
frequenza elevata”, sicché i bilanci dell’azienda erano in attivo,
nonostante la tariffa fosse “così bassa da segnare un vero rivolgimento
nei criteri tariffari allora in vigore”. Nuove linee di tram si realizzavano,
a partire dal “servizio speciale temporaneo per l’Esposizione
del 1911”
a Piazza d’Armi e Valle Giulia (doc. 14). Si acquistavano
nuove vetture che incrementavano la dotazione originaria di 35 motrici e 12
rimorchiate, quindi l’unico deposito (provvisorio) a S. Croce dell’A.T.M.
diveniva insufficiente. E nella vasta area acquisita dal Comune in Piazza
d’Armi – ove per i festeggiamenti del 1911 erano stati allestiti i padiglioni
della “Mostra Regionale e Etnografica”– il piano di sviluppo della
municipalizzata presentato dalla giunta il 29 ottobre 1915 prevedeva di localizzare un nuovo grande
deposito–officina centrale con annessa sottostazione elettrica (su un’area
rispettivamente di 9.500 e 2.500 metriquadrati) (doc. 18). Anzi, poiché “E’
pratica moderna dotare le reti delle grandi città di molte rimesse di
vetture, quasi una alla estremità di ogni linea; perché il costo di costruzione è circa lo stesso, e ne consegue notevole
risparmio di percorsi…” [4] si progettava la costruzione di almeno
quattro nuovi impianti di deposito con annesse sottostazioni elettriche
dislocati in aree eccentriche.
Ma la realizzazione del deposito di Piazza d’Armi avrebbe dovuto attendere il
dopoguerra: il conflitto mondiale, con l’inizio della belligeranza
italiana nel maggio 1915,
in breve avrebbe fatto sentire il suo effetto negativo
sull’intera economia nazionale. Il regolare svolgimento del servizio dei
trasporti fu subito messo in difficoltà, a causa dell’aumento dei prezzi dei
materiali mentre la chiusura dei mercati esteri rendeva difficile
reperire i ricambi e bloccava le commesse delle vetture. Ma soprattutto il
danno maggiore all’A.T.M. e alla S.R.T.O. proveniva dal richiamo in massa
alle armi che colpiva, come tutte le classi di lavoratori, anche i tramvieri.
Le richieste di esonero indirizzate dai vertici aziendali ai capi militari
erano respinte con dura intransigenza dal Ministero della guerra, pur
interessando personale “indispensabile”, come gli istruttori addetti alle
scuole per conducenti attivate per sostituire con i giovani avventizi e le
donne i tramvieri spediti al fronte. L’11 aprile 1917 l’azienda municipale
dichiarava di trovarsi “già con circa 90 conducenti
in meno di quelli occorrenti alle esigenze del servizio” [5] e il 18 giugno, interessando personalmente il
direttore dei trasporti militari gen. Fiastri, il sindaco Prospero Colonna
scriveva: “L’Azienda delle Tramvie Municipali di Roma versa in gravissime
difficoltà a causa del grande numero di funzionari ed agenti di ruolo
richiamati sotto le armi, che ammonta attualmente a circa 450… si
renderà, a breve scadenza, inevitabile la sospensione del servizio
tramviario, qualora non si adotti un provvedimento che
valga ad assicurare al servizio stesso quel minimo di personale pratico che è
assolutamente indispensabile per l’incolumità del pubblico e per la
continuità del traffico” (doc. 15).
In queste circostanze difficili, i tramvieri che per tradizione si
riconoscevano nello schieramento socialista internazionalista e pacifista,
erano compattamente antinterventisti. Espressero dunque il loro “essere contro” la guerra nella lunga vertenza che
li oppose all’impiego delle donne nelle mansioni di fattorine e conducenti (doc. 16),
un’agitazione culminata nello sciopero del 17 gennaio 1917. All’utilizzo
delle donne l’A.T.M. aveva dato il via già nel 1915: le prime venti fattorine
presero servizio il 15 giugno. Sul finire dell’estate 1916 l’azienda decise
di addestrare donne alla mansione di conduttrici, attivando un’apposita
scuola: a ottobre presero servizio le prime 3 conduttrici, quindi in novembre
terminarono il corso altre 10. La maggiore presenza femminile nell’A.T.M. si
ebbe nel 1918, con 434 presenze (304 fattorine, 109 conducenti e 11 operaie e
cantoniere). Le donne avevano lo stesso orario di lavoro dei colleghi uomini:
9 ore giornaliere che con lo straordinario arrivavano a 11, lavoravano anche
nei turni di notte e percepivano lo stesso salario (fattorine e conducenti
furono introdotte anche nella S.R.T.O., ove le retribuzioni erano inferiori e
l’orario di lavoro più lungo). Il “Sindacato Tramvieri” dopo l’ingresso delle
prime conducenti nei turni di lavoro, nel novembre 1916 presentò un memoriale
al presidente dell’A.T.M., per esporre: “le ragioni morali, fisiologiche, mediche, giuridiche e sociali … in appoggio alla domanda
di chiusura della scuola delle donne conducenti (doc. 17), ottenendone
l’impegno a chiudere la scuola, con l’intesa che i vuoti d’organico sarebbero
stati occupati dai giovani fattorini avventizi. L’accordo fu disatteso
dall’azienda che nel personale femminile aveva sperimentato maggiore
disciplina e responsabilità, rispetto ai giovanissimi avventizi assunti come
fattorini. Allo sciopero che ne conseguì, cui i tramvieri parteciparono
compattamente, l’azienda reagì licenziando gli avventizi - fra cui anche 90
fattorine che avevano preso parte all’agitazione - e deferendo al consiglio
di disciplina il personale di ruolo: al posto degli scioperanti sarebbero
stati richiamati i tramvieri al fronte (già dal 18 gennaio erano entrati in
servizio 33 conducenti richiamati dalle retrovie militari, mentre le guardie
comunali avevano svolto le funzioni di fattorini). Il sindaco Colonna, che in
Consiglio Comunale il 19 gennaio aveva stigmatizzato il movimento contro il
lavoro delle donne, esaltando l’alto valore civile della mobilitazione femminile nell’emergenza bellica – le donne, disse, “adempiono
con intelligenza e con zelo il loro dovere, per la salvezza del nostro paese”
[6] – solo nel marzo, a seguito della pressione
esercitata oltre che dal sindacato da molte cariche istituzionali, acconsentì
alla riassunzione della maggior parte dei licenziati.
Al termine del conflitto le fattorine e le conducenti addestrate ed
utilizzate durante la guerra dall’A.T.M. furono congedate, così come anche
nelle fabbriche – dove massiccia era stata l’introduzione della manodopera
femminile durante la guerra - la presenza delle donne si assottigliò mentre
una massa di reduci, in gran parte destinati ad ingrossare le fila dei
disoccupati e dei poveri smobilitava le linee del fronte. Le donne furono
tutte congedate fra il novembre 1919 e il dicembre 1920: sorte analoga
sarebbe toccata durante il secondo conflitto mondiale alle donne impiegate
(dal 1942) nell’A.T.A.G., questa volta solo come fattorine, sicché occorrerà
aspettare il 1989 per vedere nuovamente una donna prendere servizio su un
mezzo dell’ATAC.
Durante il 1919 – 1920, il “biennio rosso”, gli eventi subirono una
straordinaria accelerazione. In tutta Italia il 1919 fu un anno di
agitazioni: il movimento dei lavoratori ottenne la giornata di 8 ore e i
tramvieri, come altre categorie, praticamente il primo contratto collettivo
di lavoro. Dopo il congresso nazionale di categoria, a Firenze nel settembre 1919, in cui una delle
rivendicazioni più importanti fu il licenziamento delle donne, i tramvieri
romani il 19 novembre entravano in sciopero per l’inserimento in
ruolo degli avventizi, la fusione con la S.R.T.O., il licenziamento delle donne.
Nell’autunno 1920 l’onda montante dei moti spontanei di piazza contro il
caro-viveri e l’acutizzarsi dello scontro sociale culminerà anche a Roma
nell’occupazione delle fabbriche. L’episodio più grave, che segna l’inizio
dell’escalation della reazione della destra nazionalista prima, fascista poi,
avrà a protagonisti i tramvieri. Il 13 luglio 1920 questi erano scesi in
sciopero per solidarietà con l’agitazione in corso dal 20 giugno dei
ferrovieri delle ferrovie secondarie. Il 20 luglio la vertenza giunse a
soluzione; le vetture uscirono dai depositi, pavesate con bandierine rosse in
segno di vittoria, il che diede pretesto a violente azioni di pestaggio
da parte di nazionalisti, fra cui molti militari, che sfociarono nella
devastazione della tipografia dell’ Avanti! in via della Pilotta.
Tutti i lavoratori scesero spontaneamente in sciopero. Riunitasi il 21 la Camera del Lavoro, si
decise di continuare l’agitazione, solo i tramvieri sarebbero tornati in
servizio alle 18. Nuove aggressioni verificatesi al momento della ripresa del
servizio tramviario, fecero sì che si proclamasse la continuazione dello
sciopero, che terminò solo alle 24 del giorno seguente, con l’avvertenza però
che a fronte di nuove violenze il servizio sarebbe stato immediatamente
sospeso. I tramvieri e la loro organizzazione sindacale ebbero un ruolo
importante anche nelle lotte del successivo biennio 1921 – 1922, quando il
radicalizzarsi in tutto il paese dello scontro sociale - lo squadrismo
dal febbraio 1921 cominciava ad colpire duramente anche nella capitale
- avrebbe aperto la strada alla marcia su Roma e alla presa del potere
del fascismo nell’ottobre del 1922.
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6. Dall'A.T.A.G. all'A.T.A.C.: il filobus e
l'autobus
|
Durante il ventennio fascista, con l’istituzione del “Governatorato di Roma”,
l’azienda pubblica dei trasporti fu chiamata a svolgere un ruolo di primo
piano nella promozione dell’immagine di efficienza, ordine e funzionalità dei
servizi pubblici dell’Urbe fascista prima, della “Capitale dell’Impero” poi:
un punto di forza, a partire dai bisogni della nascente società di
massa, per la costruzione del consenso al regime. A rappresentare
la modernizzazione e l’innovazione tecnologica nel sistema dei trasporti
cittadini furono in quegli anni l’autobus e il filobus.
Sciolta l’amministrazione comunale nella primavera del 1923, il regime ebbe
nella capitale in un primo tempo la fisionomia di Filippo Cremonesi: un
volto noto, ricoprendo già egli la carica di sindaco al momento della
destituzione degli organi elettivi. Nominato il 2 marzo commissario
straordinario, quando nell’ottobre 1925 fu istituito il Governatorato assunse
la carica di “Governatore di Roma”, per ricoprirla fino al dicembre dell’anno
successivo. Al governatore Cremonesi si presentava un’azienda dei trasporti
ingrandita ma in grave dissesto. Negli anni della guerra la rete tramviaria
era stata estesa - il 17 gennaio 1918 era stata per esempio inaugurata dalla
S.R.T.O. la nuova linea di collegamento tra piazza Venezia e il
quartiere periferico di Monteverde e nel 1920 l’A.T.M. aveva assorbito
quasi tutto l’esercizio della “Romana”. L’iniziativa era stata assunta nel
gennaio 1919. L’amministrazione del sindaco Colonna, avvicinandosi la
scadenza delle concessioni della società, poté utilizzare lo strumento
normativo del D.L. 14 luglio 1918 n. 1047 che consentiva di proporre al
gruppo privato il rinnovo delle convenzioni per soli 3 anni. La S.R.T.O., che avrebbe invece
voluto vendere a prezzi elevati i materiali o ottenere concessioni di lungo
periodo, a questo punto chiese essa stessa il riscatto degli impianti.
Stabilita al 1 gennaio 1920 la data della cessione, prima di lasciare le
officine e il deposito a porta Maggiore, la “Romana” asportò la maggior parte
del materiale e dei macchinari, trattenendo anche un numero eccessivo di
vetture per l’esercizio delle linee 15 e 16 che non rientravano nel riscatto
(le due linee furono rilevate rispettivamente nel 1920 e 1929). Fu necessario
l’intervento del prefetto per imporre la consegna di 10 vetture complete di
rimorchio, si aprì quindi una vertenza per la valutazione dell’ammontare
della somma dovuta dal Comune alla S.R.T.O., che si trascinò a lungo.
Assorbiti dall’A.T.M. 66
chilometri di binario, il deposito di Porta Maggiore,
la sottostazione elettrica di via Baccina e 2.326 dipendenti della “Romana”,
nel 1921 sulla “cartina” illustrante al viaggiatore la rete dei trasporti di
Roma si poteva seguire il tracciato di 32 linee tramviarie urbane - di cui
30, per 131
chilometri di esercizio, erano gestite direttamente
dalla municipalizzata con 393 tram e 4.497 dipendenti - che in un fitto
dedalo di rotaie attraversavano la città. Alle linee tramviarie si aggiungeva
il nuovo servizio di 5 linee di autobus di cui nel 1919 si era deliberata
l’attivazione, a gestione diretta in economia dell’”Ufficio Tecnologico”
comunale sui percorsi: piazza Montanara – piazza del Popolo, piazza di Spagna
– S. Maria in Trastevere, piazza Colonna – S. Pietro, piazza SS. Apostoli –
via Basento, Stazione Trastevere – Parrocchietta. Sulle prime tre linee si
sperimentavano le cosiddette “autoelettriche”, cioè autobus a batteria, sulle
altre due linee furono posti in servizio autobus a benzina. Il primo autobus
municipale – con motore elettrico a batteria - cominciò a circolare il 1 luglio
1920 sul percorso centrale piazza del Popolo – piazza Venezia - piazza
Montanara e l’innovazione destò la più ampia soddisfazione dell’utenza: a
confronto con il vecchio tram l’autobus appariva più comodo, rapido e
silenzioso. Si affacciava ormai il problema dell’eccessiva
concentrazione degli impianti tramviari e dell’intralcio che ne derivava per
la viabilità, poco scorrevole, soprattutto nei quartieri del centro. A
questo proposito già nel 1920 si progettava di realizzare una metropolitana.
Il Consiglio Comunale infatti deliberò la costruzione di una “tranvia
sotterranea” per collegare piazza Venezia con Porta S. Paolo, che
sarebbe stata esercitata dall’A.T.M., per garantire la rapida comunicazione
fra il centro della città e il nuovo quartiere industriale che si doveva
sviluppare nell’area Ostiense, allacciando anche la progettata ferrovia Roma
– Ostia Mare.
Nel quadro di riferimento ereditato dalla cessata amministrazione liberale,
dunque le parole pronunciate nel 1925 da Mussolini durante la cerimonia
d’insediamento del Cremonesi a capo del Governatorato - organismo
amministrativo direttamente dipendente dal Ministro dell’Interno, carica
sempre ricoperta dallo stesso Mussolini – si riassume il programma del duce
per il trasporto pubblico nell’Urbe. “Voi toglierete dalle strade
monumentali di Roma la stolta contaminazione tranviaria, ma darete
modernissimi mezzi di comunicazione alle nuove città
che sorgeranno, in anello, attorno alle antichità...”[7]: queste erano le direttive
del capo del fascismo, che la potenziata struttura tecnologica
denominata dal 1927 “Azienda Tramvie e Autobus del Governatorato” si
accingeva a realizzare. E negli anni Trenta, il regime riuscì davvero a dare
volto alla città fascista, concretizzando in forme monumentali e percorsi
urbani consolidati il suo progetto di “Romanità”. Nel decennio
che precede la seconda guerra mondiale sarebbero stati portati a termine i
grandi piani di isolamento delle emergenze archeologiche, demoliti interi
brani di storia urbana per creare gli spazi d’esibizione dei riti di massa
del regime. E sarebbe stata completata la “bonifica sociale” dei rioni
storici, deportato nelle lontane “borgate” in via di costruzione il popolo,
un po’ anarchico e irruento, dai mille mestieri poveri, che li abitava da
secoli. A tutto ciò fu dunque funzionale la “rivoluzione” del traffico
partita il 1 gennaio 1930, quando “venne attuata, in modo
simultaneo, una completa trasformazione
dell’esercizio, consistente principalmente nella sostituzione nel centro
della città delle tramvie con autobus” [8] (doc. 21): già nel
1927 era stata riacquisita dall’A.T.A.G. l’accresciuta rete degli
autobus che nel 1924 era stata appaltata dall’amministrazione Cremonesi alla
privata “Società anonima trasporti Ugolini”.
A “sanare” l’azienda – che nel 1922 aveva un disavanzo di 13 milioni di lire
– Filippo Cremonesi aveva provveduto in primo luogo “disciplinando” il
personale. Fin dal 1923, insediati i nuovi vertici aziendali, il consiglio di disciplina aveva provveduto
all’“epurazione” di quanti fossero considerati “sovversivi”: allora furono
allontanati 600 dipendenti, avvalendosi dei decreti sulla liberalizzazione
dei licenziamenti (doc. 19). Una nuova impronta
dirigista veniva data poi alla conduzione delle municipalizzate dalla legge
che regolava l’assetto istituzionale del Governatorato. Destituiti i vecchi
consigli di amministrazione, al vertice era collocato un commissario
che faceva direttamente capo al Governatore. L’irrobustimento finanziario
assicurato al nuovo organismo del Governatorato
dall’inquadramento nell’amministrazione e nel bilancio del Ministero
dell’Interno sotto l’egida del capo del governo, consentiva all’azienda dei
trasporti da esso dipendente di realizzare un intenso programma di sviluppo e
di rinnovamento, presentando nel giro di pochi anni una nuova immagine di
efficienza e modernità. Nel maggio 1928 in occasione del 21° congresso
dell’”Unione Internazionale delle Tramvie e Ferrovie di Interesse
Locale” era inaugurata la rinnovata sede dell’A.T.A.G. in via Volturno (doc. 20).
Negli anni seguenti, in coincidenza con l’attuazione del piano di eliminazione
del tram dal centro storico, fu completata la municipalizzazione dei
trasporti pubblici romani: già nel 1927 era stata riscattata la linea
tramviaria via Marsala – piazza del Verano fino ad ora gestita dalla “Tramvie
e Ferrovie Economiche” (il percorso fu prolungato fino a Portonaccio); quindi
nel 1929 con l’assorbimento dell’ultima linea tramviaria – il 16, da S.
Pietro a S. Giovanni – cessò l’attività della “Società Romana Tramways e
Omnibus”. Il piano di ampliamento dell’A.T.A.G. contemplava anche l’assunzione
di linee di collegamento con la provincia: nel 1928 fu acquistato il
pacchetto azionario della “Società Tramvie e Ferrovie Elettriche di
Roma” che gestiva la tramvia per i Castelli Romani, attivata fin dal 1903
lungo la via Appia. Alla futura STEFER, divenuta ormai società pubblica, si
fece acquistare anche la tramvia Roma – Tivoli, ancora gestita dalla “Tramvie
e Ferrovie Economiche”: il servizio, assunto poi direttamente dall’A.T.A.G.
fu sostituito nel 1931 con una linea di autobus.
Moderne autovetture a benzina e a nafta o a propellente autarchico - la
miscela “Roma” o il “gassogeno” a legna che l’A.T.A.G. cominciò
a sperimentare nel 1934 “per le esigenze dell’economia nazionale”
(doc. 22)
- gradualmente avrebbero sostituito il tram oltre che nel centro
storico anche nei quartieri. Le nuove borgate popolari rimanevano
invece senza servizi pubblici, precari aggregati sociali, ove la mancanza di
collegamenti con i centri della vita produttiva ed
economica della città alimentava miseria ed emarginazione sociale (doc. 23).
Dopo il 1936, con l’inasprirsi delle sanzioni applicate all’Italia dalla
Società delle Nazioni per la guerra d’Etiopia l’azienda dei trasporti
pubblici sarebbe stata però nuovamente indotta ad investire nell’incremento
dei mezzi a trazione elettrica, creando una rete di trasporto su filobus:
i primi circolarono l’8 gennaio 1937 su due percorsi che
collegavano piazza del Popolo con piazza Risorgimento e ponte Milvio (doc. 24).
Nel 1939, alla vigilia della guerra, per una città di 1.303.800 abitanti, con
una media di 1.300.000 movimenti giornalieri, l’A.T.A.G. metteva dunque in
campo 33 linee tramviarie, 45 di autobus e 11 di filobus, per una lunghezza
di esercizio totale di 460
chilometri, con 1.336 vetture, ricoverate in tre
depositi tramviari e dodici rimesse. Gli impianti comprendevano inoltre: le
officine centrali sulla via Prenestina – ove nel 1925 erano stati acquistati
e ristrutturati i vasti spazi delle Officine meccaniche Tabanelli - per le
riparazioni del materiale mobile, con una stazione di servizio “modernamente
attrezzata” e nove sottostazioni elettriche di conversione.
L’operazione di cancellazione non solo dei partiti politici e dei sindacati,
ma anche di qualsiasi forma di associazionismo libero, di consociativismo
alternativo al conformismo ideologico delle strutture istituzionali -
della cultura, del tempo libero, dello sport - in cui il regime imponeva si
forgiasse il “carattere fascista” degli italiani, aveva dato i suoi frutti.
Fra le tante organizzazioni chiuse d’autorità c’era anche la “Cooperativa
Case Tramvieri”, sciolta nel 1926 perché costituita “nella grande
maggioranza di elementi avversi alle istituzioni –
così suona il provvedimento dell’autorità di polizia – i quali
svolgono opera tale che costituisce permanente pericolo di turbamento
dell’ordine pubblico” [9]. Dopo sarebbero venuti
gli “anni del consenso”: le logiche organizzative del regime
totalitario avrebbero assicurato, come contropartita alla rinuncia alla
libertà, benefici e protezioni
“corporative” alle categorie dell’impiego e dei servizi pubblici, che il
modello di “stato sociale” del fascismo andava ad infoltire (doc. 25).
“L’A.T.A.G. occupa 7.178 dipendenti fra i quali sono rappresentate tutte
le categorie di lavoratori: 512 funzionari e impiegati; 2.195 fattorini;
1.001 conducenti tramviari; 908 conducenti autobus e filobus; 2.141 operai di
numerose qualifiche e specialità – leggiamo nella pubblicazione ufficiale
da cui ricaviamo i dati statistici relativi al servizio nel 1939 – All’assistenza
di una così notevole massa di lavoratori provvedono apposite istituzioni, cui
largamente contribuisce l’Azienda (Casse Mutue – Casse di Previdenza – Opera
Dopolavoro) ...Una Coorte Autonoma della M.V.S.N. inquadra gli agenti
iscritti alla Milizia che consacrano le ore di riposo all’addestramento
militare. Una scuola è stata di recente istituita per i giovani figli del
personale, che diverranno così
futuri agenti di vettura ed operai dell’Azienda. Essa dà così ai propri
dipendenti una tranquilla fiducia per l’avvenire dei loro figli ...” [10]
(doc.
26).
Dietro l’angolo c’era invece una disastrosa avventura
militare, con le distruzioni e le lacerazioni che ne conseguirono (doc. 27).
Con la guerra furono smantellati i binari per dare
ferro alla patria e mentre sulle vetture erano
temporaneamente impiegate le donne (doc. 29), addestrate per
svolgere il servizio di “fattorine” (doc. 28), la
carenza di carburante e di pneumatici metteva in difficoltà anche la
circolazione degli autobus e filobus. Poi arrivarono i bombardamenti
dell’estate del ’43 che oltre a colpire il nodo logistico dello scalo merci
S. Lorenzo, si estesero anche ad una vasta area della periferia est della
città fra la Casilina
e la Prenestina. In
essi subirono forti danneggiamenti anche il deposito A.T.A.G. a Porta
Maggiore e le officine centrali in via Prenestina: a via Foligno furono
allineati i morti provocati dalle bombe che il 13 agosto colpirono duramente
anche il “Quartiere dei tramvieri” a S. Giovanni.
I trasporti pubblici non poterono più svolgersi con regolarità: terminato
alle 12,30 il bombardamento del 19 luglio le vetture dell’A.T.A.G. furono
impiegate per caricare morti e feriti. Per giorni “furono effettuati numerosi servizi di soccorso – per i quali
leggiamo in un’informativa dell’azienda del 20 agosto furono - percorsi
Km. 2.275”
(doc.
30). Dopo l’8 settembre, con l’occupazione tedesca
cominciarono le requisizioni dei mezzi: il 3 ottobre, ad esempio, le autorità
militari tedesche ordinarono la consegna di 70 autobus: “insieme
agli autobus – informa il giorno seguente un altro rapporto dell’A.T.AG.
- sono stati precettati anche i relativi autisti
per la condotta degli autoveicoli, ed è partito così, ieri sera, un primo
gruppo di 35 autobus” (doc. 31). In queste condizioni il
servizio pubblico cessò completamente, sostituito dalle “camionette” private.
Dopo la liberazione cominciava la ricostruzione, ma occorsero alcuni anni per
rimettere in sesto l’azienda dei trasporti della capitale: il periodo delle
“camionette” si prolungò nel dopoguerra poiché si riuscì a ripristinare
la rete dei trasporti prebellica solo alla fine del 1948. Con il ritorno
alle istituzioni democratiche e dell’amministrazione elettiva al Comune
l’azienda dei trasporti fu ridenominata dapprima “Azienda Tramviaria
Autofiloviaria Comunale”, quindi – scomparsi i filobus - “Azienda
Tramvie e Autobus del Comune di Roma”.
Alla vigilia della guerra il filobus, il nuovo veicolo a trazione elettrica,
era considerato il mezzo di trasporto del futuro. Più economico dell’autobus,
vista la scarsa disponibilità del combustibile necessario alla trazione
meccanica, il filobus (come il tram) riceveva la corrente attraverso il
trolley dai fili aerei, ma si muoveva su gomma anziché su rotaia: era perciò
più del tram manovrabile, silenzioso e veloce. Il piano regolatore dei
trasporti collettivi elaborato dall’A.T.A.G. per l’E42 - la grande
esposizione universale programmata dal regime nel 1942 nell’area delle Tre
Fontane, dove nel dopoguerra sarebbe sorto il nuovo quartiere dell’E.U.R.
- faceva perno dunque sullo sviluppo di questo mezzo di trasporto.
Questo indirizzo non era ancora mutato nel 1950 quando l’azienda
municipale, tornata a funzionare con regolarità, presentava un parco mezzi di
623 tram 384 filobus e 368 autobus. I filobus sarebbero stati
invece destinati a sparire: gli ultimi cessarono il loro servizio il 2 luglio
1972 sulla linea 47 (Lungotevere Marzio – Monte Mario) e molto ridimensionata
sarebbe stata anche nelle aree non centrali la rete dei tram, imponendosi a
partire dagli anni ’60, nel trasporto pubblico l’egemonia dell’autobus con
motore a combustione.
In quegli anni Roma raggiungeva i due milioni di abitanti, si estendeva senza
pianificazione urbanistica il costruito dei quartieri intensivi delle
periferie, il “boom economico” poneva alla portata dei più l’acquisto
dell”utilitaria”. I filobus furono dunque sacrificati all’incremento
della motorizzazione privata. La manovra infatti – in assenza di
“corsie preferenziali” per il mezzo pubblico - diveniva difficoltosa in mezzo
al crescente traffico veicolare e le caratteristiche tecniche di questo mezzo
lento nell’accelerazione, erano tali da renderlo comunque un intralcio per il
traffico. L’”inconveniente” più lamentato dagli automobilisti e dagli stessi
tramvieri – che accolsero con favore l’eliminazione dei filobus, sostituiti
dagli autobus - era quello che si verificava quando una delle due
aste lunghe che costituivano il trolley “scarrucolava”, provocando la fermata
del mezzo: essendo isolato da terra dalle gomme il filobus non poteva avere
altro ritorno di corrente che con il secondo filo parallelo, perciò per
rimettere in moto la vettura il fattorino doveva scendere ed effettuare
manualmente la manovra per ricollocare in posizione il filo, con l’aiuto del
tirante situato sul retro della vettura.
A partire dai lavori messi in cantiere per le Olimpiadi del ’60 - con
la costruzione di sottopassi, viadotti e grandi arterie a scorrimento
veloce come la via Olimpica, che favorivano lo sviluppo del traffico
automobilistico - fu dunque in gran parte ridisegnato il sistema del
trasporto pubblico di superficie, incentrandolo quasi interamente
sull’autobus. Fu smantellata la rete dei filobus ed anche la maggior parte
delle linee tramviarie ancora in esercizio. Con l’eliminazione delle sedi
stradali apposite e dei marciatram, si dava il passo al trasporto su gomma e
al traffico veicolare privato. Con il crescente carico di inquinamento urbano
causato dai gas di scarico prodotti dalla combustione dei derivati del
petrolio, il mezzo pubblico di superficie era destinato dagli anni Settanta
ad essere sovrastato da quello privato, perdendo nella battaglia quotidiana
del traffico ogni giorno di più viabilità e velocità. Né fino alla fine
degli anni Settanta la “metropolitana” – a Roma dal 1955 funzionava la linea
che collega la
Stazione Termini all’E.U.R. - rappresentò
un’alternativa reale all’uso dei mezzi di superficie per i flussi delle
percorrenze giornaliere dei cittadini romani.
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Il 9 febbraio 1955 fu inaugurato il primo tronco di linea metropolitana a
Roma. Il tracciato partiva in sotterranea dalla Stazione Termini e,
oltrepassata alla fermata della Piramide la stazione di scambio con la linea
ferroviaria per Ostia – attivata nel 1924 ed utilizzata dai romani
soprattutto per raggiungere gli stabilimenti balneari del Lido - proseguiva
in superficie, ad eccezione del tratto in galleria fra le due stazioni
dell’EUR (Esposizione Ovest attivata il 22 settembre
1958 e Esposizione Est) fino al capolinea oltre le Tre Fontane, nella
disabitata periferia sud-ovest della città (doc. 32).
Progetti per la “ferrovia metropolitana” a Roma si cominciarono a presentare
dal 1881. E a spiegare le ragioni della scelta del tracciato del primo
tronco dell’attuale linea B, iniziandosi a parlare con maggiore concretezza
della costruzione di una “ferrovia sotterranea” urbana a partire dal 1911, è
un orientamento – l’idea dello “sviluppo di Roma verso il mare” - che
con motivazioni diverse guidò con continuità le scelte urbanistiche e l’intervento
pubblico, dallo stato liberale attraverso il fascismo fino agli anni
della repubblica. “La penetrazione sotterranea sino a piazza Venezia,
segna il principio di una linea che risolve tutte le gravi
questioni della circolazione e del traffico, dei monumenti, dell’estetica,
del commercio, delle tradizioni e della Roma d’oggi”[11]. Così la giunta Nathan
presentava il progetto, approvato dal Consiglio Comunale il 27 – 28 luglio
1911 (proposta n. 432) che prevedeva la costruzione di una ferrovia per il
collegamento con Roma del porto commerciale e del borgo marittimo da
edificare ad Ostia, costituita oltre che da un lungo tratto di superficie dal
litorale a Porta S. Paolo, di un prolungamento in sotterranea fino a piazza
Venezia e, in prospettiva, a piazza del Popolo. Il progetto di
“metropolitana”, si inseriva nell’ambito dei programmi per lo sviluppo
economico della capitale dell’amministrazione progressista: realizzazione
del porto marittimo a Ostia e del porto fluviale a S. Paolo con
un canale navigabile di collegamento, sviluppo dell’area
industriale Ostiense e del borgo marittimo di Ostia, con collegamento viario
e ferroviario. Progetti di infrastrutture e collegamenti che necessitavano
di grandi investimenti. Il gruppo di banche francesi rappresentate da
Andrea Berthelot delegato della “Chemin de fer métropolitain de Paris”
e Gilberto Boucher presidente della “Société Française d’études
industriel” e consigliere del Dipartimento della Senna, con cui il
Comune aveva stipulato una convenzione per la costruzione delle due tratte
ferroviarie, non fu in grado di mantenere fede ai propri impegni. Nel
primo dopoguerra, sebbene il Comune decidesse di costruire in proprio la
tratta metropolitana sotterranea S. Paolo – piazza Venezia, per la quale il
Consiglio Comunale il 21 luglio 1920 approvò una stima di spesa di 15
milioni, il progetto non era realizzato quando il 10 agosto 1924 alla
Piramide era aperta all’esercizio la ferrovia per il Lido di Roma,
elettrificata il 21 aprile dell’anno seguente.
Al potere era andato il fascismo e ai progetti di sviluppo della metropoli
industriale e produttiva il governo di Mussolini avrebbe preferito quelli per
l’incremento della città impiegatizia e d’apparato. Sicché l’opera
ferroviaria compiuta un anno dopo lo scioglimento dell”Ente Autonomo
per lo Sviluppo Marittimo e Industriale di Roma” (1919 – 1923) – l’ente
pubblico istituito nel difficile periodo del dopoguerra per realizzare il
programma avviato dalla giunta Nathan - avrebbe collegato Roma non più
al suo grande approdo marittimo, ma al suo litorale balneare. Mentre
Ostia con i suoi stabilimenti si sviluppava come ridente lido turistico,
all’Ostiense le strutture industriali si dismettevano e la stazione della
Piramide, accantonata l’idea del grande scalo merci in collegamento col porto
commerciale da costruire ad Ostia, diveniva il capolinea del nuovo
“petroliniano” rito di massa: la domenicale gita al mare dei romani. Intanto
una commissione governativa era incaricata di proseguire gli studi circa il
progetto della ferrovia metropolitana.
Alla costruzione di questa, in base alla normativa varata nel 1925, avrebbe
dovuto provvedere lo stato, ma solo nel 1937 il progetto fu varato.
Preparandosi per il 1942 la grandiosa esposizione del ventennale del
regime, l’”Esposizione Universale di Roma” localizzata nell’area delle Tre
Fontane, si progettò la “metropolitana per l’E.U.R.”: una linea concepita –
così come il primo progetto del 1911 - in funzione del prolungamento verso il
centro cittadino della ferrovia per Ostia. Secondo il progetto posto in
esecuzione infatti la linea metropolitana si distaccava dalla ferrovia per il
Lido in corrispondenza della stazione della Magliana: la costruzione
del primo tratto Magliana – Tre Fontane fu appaltata alla “Società
Italiana per le Strade Ferrate del Mediterraneo” nel 1938, il tratto
rimanente dalla stazione della Magliana – monumentale quinta architettonica
d’accesso all’esposizione - fino alla stazione Termini lo fu l’anno
seguente. Si trattava di una struttura dalle caratteritiche ferroviarie,
visto che su di essa era previsto l’inoltro dei treni provenienti dal Lido e
delle Ferrovie dello Stato da Termini: le visite all’E42 di capi di stato e
di governo avrebbero avuto luogo facendo transitare sulla linea metropolitana
convogli ferroviari, fra cui il treno reale, con carrozze salone e
carrozze letto. Con gli sterri nell’area archeologica della Suburra si
era a buon punto prima dello scoppio della guerra. Le gallerie in costruzione
di un’opera di decoro monumentale, che con la magniloquenza delle forme
architettoniche e i sontuosi arredi marmorei delle stazioni avrebbe
dovuto soprattutto esaltato nel turista e nel visitatore dell’E42 un
sentimento di ammirato stupore per la grandezza dell’Urbe fascista,
servirono da rifugi antiaerei durante la guerra. La grande esposizione
del 1942 non ebbe mai luogo, ma i lavori per la metro furono ripresi
nel 1948 sul tracciato già definito per una lunghezza di poco più di 11 chilometri. Il
servizio della “Metropolitana di Roma” inaugurata nel 1955 - costruita dallo
Ministero dei Trasporti con l’assunzione da parte della STEFER dell’esercizio
– con l’ultima stazione Laurentina andava di fatto a finire in una
“campagna” disabitata, ma avrebbe fatto da volano allo sviluppo dell’edilizia
abitativa e per gli uffici nel quartiere dell’E.U.R. in costruzione,
orientando i programmi di sviluppo urbanistico della città del dopoguerra
verso la nuova periferia sud-ovest. La seconda tappa della pianificazione della
rete del trasporto metropolitano avrebbe avuto inizio nel 1959, quando con la
legge n. 1145 del 24 dicembre furono stanziati i primi 26 miliardi per
costruire la linea finalmente attivata il 16 febbraio
1980 da Ottaviano a Cinecittà e prolungata in giugno fino all’Anagnina, per
un percorso di 15
chilometri (doc. 33).
Collegamento fra l’intensiva periferia sud-est della città
e il quartiere terziario di Prati, secondo un percorso radiale, più volte
ridefinito dalle numerose “varianti” del progetto iniziale, il primo tronco
dell’attuale “linea A” si sarebbe intersecato con la linea per l’E.U.R.
prolungata fino a Rebibbia. Di entrambe le linee sarebbe stata assunta la
gestione prima dall’ACOTRAL, l’Azienda consortile dei trasporti del Lazio
della quale è entrata a far parte anche l’A.T.A.C., quindi dal COTRAL.
Ma siamo ormai alla cronaca dei nostri giorni, quando l’intenso sviluppo
dell’“area metropolitana” con la forte integrazione del tessuto
produttivo ed insediativo della capitale con il territorio della provincia e
della regione hanno imposto la ricerca di soluzioni alternative al “trasporto
su gomma” per i servizi della mobilità collettiva nella capitale. Dalla “cura
del ferro” - il ripristino delle linee tramviarie - all’integrazione del
sistema dei trasporti urbani con il servizio metropolitano delle Ferrovie
dello Stato, la rotaia tornerà ad essere la protagonista del paesaggio urbano
del futuro?
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[1] 30 luglio 1857. “Direzione
Generale di Polizia. Regolamento sulle Vetture ed altri mezzi di trasporto”
(artt. 1, 8, 13). ASC, Comune Pontificio, Manifesti avvisi notificazioni,
b. 32, fasc. 14.
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[2] Regolamento
per le vetture pubbliche e per le vetture-omnibus nella città di Roma,
Roma, tip. Sinimberghi, 1878, pp. 47-48 (artt. 85, 87, 88); pp. 20-21 (artt.
26, 27); p. 54- (art. 104); pp. 50-51 (art. 95 bis).
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[3] Memorandum
dei tramvieri urbani agli Onorevoli Consiglieri Comunali di Roma, Tip.
Tip. Editrice Roma [107], p. 4.
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[4] Deliberazioni
del Consiglio Comunale n. 247 del 29 ottobre e 5 novembre 1915 relative a
provvedimenti generali per l’Azienda delle Tramvie Municipali di Roma,
Roma, Tip. Centenari, 1916, pp. 9 e 11.
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[5] 11 aprile
1917. Il direttore dell’A.T.M. ing. Giulio Mazzolani al sindaco Prospero
Colonna sul richiamo alle armi di personale indispensabile al servizio. ASC,
Archivio Generale (1871 – 1922) – Titolo 86 “Azienda delle Tramvie
Municipali”, b. 1 f.
15.
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[6] Verbale del Consiglio
Comunale 19 gennaio 1917. ASC, Verbali C.C., vol. 262 (pp. n. num.).
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[7] B. MUSSOLINI,
Opera Omnia, vol. XXII, Firenze, 1957, pp. 47 – 48 (riportato in G. TALAMO G.
BONETTA, Roma nel Novecento da Giolitti alla Repubblica, Bologna, Cappelli,
1987, p. 226).
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[8] S.P.Q.R.. Azienda
delle Tramvie e Autobus del Governatorato di Roma (A.T.A.G.). Notizie,
Roma, 1939, p. 4.
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[9] ACS, MI,
DGPS,DAAGGRR, G1, b. 165 (riportato in G. TALAMO G. BONETTA, cit., p. 238).
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[10] S.P.Q.R., Azienda
delle Tramvie…, cit., p. 19.
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[11] Atti del
Consiglio Comunale di Roma dell’anno 1911. Secondo Quadrimestre, Roma,
Tip. F. Centenari, p. 812.
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doc. 1
ASC, Biblioteca Romana: Stragr. 189[1]
“Stazione a Porta Maggiore”. Tavola incisa in rame. Da: P.
CACCHIATELLI G. CLETER, “Le Scienze e le arti sotto il pontificato di Pio
IX”, Roma, Tip. Delle Belle Arti [1860 – 1869]
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Gregorio XVI aveva mostrato avversione per le strade
ferrate, i treni e le locomotive a vapore, sbuffanti mostri metallici che
egli considerava “manifestazioni del demonio”. Il suo successore, il
progressista Giovanni Maria Mastai Ferretti, salito al soglio pontificio il
6 giugno 1846 col nome di Pio IX, invece fra i primi atti di governo pensò
ad avviare i cantieri per la costruzione delle ferrovie. In Italia il nuovo
simbolo del progresso della moderna società borghese aveva fatto la sua
apparizione nel vicino Regno di Napoli nel 1839, quando Ferdinando II aveva
inaugurato la linea ferroviaria Napoli – Portici, con la locomotiva
francese Bayard. Il collegamento con il vicino regno borbonico, principale
partner commerciale dell’arretrato stato pontificio – da Napoli si
importavano derrate alimentari, prodotti industriali e manufatturieri
destinati soprattutto al consumo della dominante - avrebbe rappresentato il
perno della nuova politica di sviluppo dei trasporti e delle
comunicazioni pontifici.
Con notificazione 7 novembre 1846 dunque Pio IX dispose la costruzione di 4
linee ferrate in concessione. La prima con tratta da Roma a Ceprano
al confine con il Regno di Napoli, avrebbe congiunto la
capitale con il confinante stato borbonico. Le altre tre linee avrebbero dovuto
collegare Roma rispettivamente con Bologna (principale centro dello stato
pontificio dopo Roma), Civitavecchia (maggiore approdo marittimo) ed
Anzio. Si costituì subito la “Società Pio – Latina” per la costruzione
della prima linea ferroviaria. Inaugurato il 7 luglio 1856 il primo tratto
Roma – Frascati, la stazione – che vediamo in questa immagine - era
temporaneamente attestata a porta Maggiore. La prima fermata era a Ciampino
dove la linea ferrata si biforcava: un binario raggiungeva Frascati, l’altro
attraverso Albano e Velletri raggiungeva Ceprano dove si incontrava con la
linea ferroviaria napoletana.
Lo sviluppo dei servizi di trasporto urbano è legato a quello delle linee
ferroviarie. Nella veduta della stazione ferroviaria a porta Maggiore
appare una botticella, una carrozzella a cavallo, che svolge il
servizio di “vettura di piazza” simile a quello del moderno taxi. In
prossimità dei binari stazionano però anche due mezzi di trasporto
collettivo. Presso la stazione ferroviaria – che nel 1870, quando gli
Italiani entrano a Roma, era ormai attestata a Termini – sostano due
vetture omnibus, che effettuano il collegamento fra il centro
abitato e il nuovo lontano capolinea ferroviario, in coincidenza con
l’orario di partenza dei treni.
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doc. 2
ASC, Comune Pontificio, Titolo 51 “Strade ferrate”,
b. 1, f.
6/2
9 – 19 giugno 1857. Esposto della società “Strada
ferrata da Roma al Confine Napoletano” al Senatore per intralcio alla
circolazione dell’omnibus diretto alla stazione di Porta Maggiore
|
Alla metà dell’Ottocento, regnante Pio IX (l’ultimo dei “papa re”) Roma
aveva ancora il caratteristico aspetto di città – campagna. Entro il
perimetro urbano vi erano fienili, stalle, si coltivavano gli orti e le
vigne. Qui siamo a via Labicana, allora praticamente campagna: in giugno si
svolgono le operazioni di “reposizione” del fieno, tipiche della
stagione agricola estiva. Le barrozze, i grandi carri da trasporto
in uso nella campagna romana ingombrano la strada. Dunque leggiamo: “Nella
via Labicana, da che è principiata la reposizione dei fieni, spesso avviene
che i nostri omnibus che fanno il servizio per la strada ferrata, si
trovino intralciati non poco nella loro corsa tanto dalle lunghe file di
carrozze in cammino, quanto dai fieni e barrozze impostati innanzi ai
fienili ivi esistenti. Da tutto ciò viene ritardato l'arrivo dei detti
omnibus alla stazione, e quindi impedita la precisione indispensabile
nell’ora delle partenze dei treni”. All’esposto della società della
“Strada ferrata da Roma al Confine Napoletano” risponde la Magistratura Capitolina
con decreto del 19 giugno che dispone la sorveglianza dei gendarmi
pontifici lungo la strada (l’amministrazione comunale non aveva allora un
proprio corpo di polizia urbana).
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doc. 3
ASC, Biblioteca Romana: 30649[2]
“Servizio degli omnibus della Società Romana
nell’interno della città”. Da: “Guida Monaci 1872. Guida scientifica,
artistica e commerciale di Roma”
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Ernesto Monaci appena Roma diventò italiana ebbe subito una brillante idea
editoriale, cominciando a pubblicare l’annuale accurata guida commerciale
della capitale, che con il suo nome continua ad essere pubblicata ancor
oggi. Quando consultiamo la “Guida Monaci”, con le sue inserzioni
pubblicitarie, ci appare un sorprendente spaccato di vita sociale, con il
pulsare delle attività, dei commerci e del lavoro nella città. La seconda
edizione della guida (per il 1872) con l’inserzione a pag. 97 ci informa
che la “Società Romana” - con sede in piazza S. Ignazio, ove è anche la
stazione principale degli omnibus - assicura il servizio di 7 linee, in
base ad orari compresi fra le 7 di mattina e le 8 di sera, secondo tragitti
che coprono praticamente l’intera estensione dell’abitato nel 1870: fra il
Vaticano, piazza del Popolo, S. Maria Maggiore, S. Giovanni e Trastevere.
La tariffa delle corse è fissata a 10 centesimi. Il servizio “continuato”
per la piazza Termini, segue un ampio percorso attraverso via del Corso,
piazza di Spagna, via Due Macelli, via del Tritone, piazza Barberini, via
S. Nicolò da Tolentino, via S. Susanna, con partenza da piazza S. Ignazio
un’ora prima della partenza del treno.
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doc. 4
ASC, Emeroteca Romana: Per. 699[2]
“Lo sciopero dei tramways a Parigi”. Illustrazione
da: “La
Tribuna Illustrata”, a. II, 12 luglio 1891
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Nel “Disegno del nostro corrispondente parigino, signorina Marcella
Lancelot”, che rappresenta lo sciopero dei trasporti svoltosi nella
capitale francese il 28 giugno, il mezzo di trasporto rappresentato è il
tipico tramway a cavalli: una vettura a trazione animale, le cui
ruote scorrono su rotaie di ferro. Nell’ampio boulevard parigino, la
vettura è al capolinea (la bassa costruzione a destra con l’insegna “tramways”
ove si assiepano i passeggeri) sotto scorta delle forze di polizia, cui
durante gli scioperi dei servizi pubblici incombeva il compito di mantenere
l’”ordine pubblico”. La vettura del tram, qui del tipo a due piani
(quello superiore scoperto) era molto simile a quella dell’omnibus,
a differenza di questa però era esattamente simmetrica. Allo scopo di
invertire la marcia al capolinea, spostando i cavalli da una testata
all’altra, aveva alle estremità due terrazzini e due posti di guida, con
accessi laterali per i viaggiatori.
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doc. 5
ASC, Biblioteca Romana: 30649[13]
Servizio di omnibus, tramways a cavallo e a vapore.
Da: “Guida Monaci 1883. Guida commerciale di Roma”
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Nel 1883 oltre agli omnibus
(le sei linee dell'”Impresa Romana Omnibus” di Francesco Marini) nei
percorsi urbani sono in esercizio anche altri sistemi di trasporto. Nuovi
collegamenti extraurbani adottano il tramway a vapore. Le novità
accolte con maggior favore dal pubblico, regalando ai romani l’abitudine
della gita domenicale “fuori porta” ai Castelli Romani e alle Acque Albule,
sono infatti le due linee di tram a vapore per Tivoli e per Marino.
Entrambe si attestano con stazione a porta S. Lorenzo e sono state attivate
nel 1879 e 1881 dalla “Società Anonima dei Tramways e Ferrovie Economiche”,
che ha prolungato il binario fino a Termini, esercitando anche una tratta
di tramvia a cavallo fra la stazione e il Cimitero del Verano. Un’altra
innovazione è apparsa infatti fin dal 1877: i tramways a cavallo. Le
prime rotaie sono state sistemate lungo la via Flaminia, sempre dalla
Società delle Ferrovie Economiche, per il percorso Porta del Popolo - Ponte
Molle. Nel 1882 le rotaie sono già state installate anche su altri
percorsi: dalla “Tramways di Roma Marotti e C.” e dalla “Società Romana dei
Tramways” (dello stesso proprietario dell’Impresa degli Omnibus). La
seconda impresa gestisce un percorso di binari che segue lo sviluppo dei
nuovi quartieri impiegatizi “piemontesi” del Castro Pretorio e
dell’Esquilino nell’area est della città: da via del Corso alla Stazione
Termini attraverso la nuova via Nazionale, con tre diramazioni: l’una
passando di fronte alla stazione va a coincidere con la linea di porta S.
Lorenzo per i Castelli e per Tivoli; l’altra per i nuovi tracciati di via
Cernaia e Volturno raggiunge l’imponente edificio del Ministero delle
Finanze; e l’altra ancora per le vie Gioberti, Carlo Alberto e Merulana
raggiunge S. Giovanni in Laterano. La società di G.B. Marotti tiene invece
in esercizio la linea di tram a cavalli che collega Piazza Montanara alla
Basilica di S. Paolo, lungo l’asse di sviluppo dei quartieri operai ed
industriali, egualmente previsti dal piano regolatore del 1883 lungo l’area
della via Ostiense. Quanti erano alla fine dell’Ottocento in tutto i
tramways a cavallo in servizio? Dovevano essere circa 200: il grande
deposito realizzato a Porta Maggiore nel 1887 e visitato da re Umberto I il
6 luglio 1889 conteneva scuderie per 700 cavalli e binari di ricovero per
200 tram.
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doc. 6
ASC, Biblioteca Romana: 30649[24]
Servizio di omnibus, tramways a cavallo, a vapore e
elettrico. Da: “Guida Monaci 1894. Guida commerciale di Roma e Provincia”
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La “Società Romana Tramways e Omnibus” costituita nel
1886 da Francesco Marini, che nel 1885 ha assorbito le tramvie urbane delle
“Ferrovie Economiche” (Porta del Popolo – Ponte Milvio) e dell’impresa di
G.B. Marotti, ottenendo nuove concessioni negli anni successivi, ora
gestisce 11 linee di omnibus e 9 di tram a cavalli. Comincia inoltre a
sperimentare il tram elettrico nella villa Borghese, sulla linea da Porta
Pinciana al Museo Borghese, che “agisce solo nei giorni in cui è aperta
al pubblico la villa Borghese, cioè: martedì, giovedì, sabato e domenica.
Le partenze si succedono ogni 15 minuti, dalle 13 al tramonto del sole”.
Si tratta di due tronchi dimostrativi di ca. 750 m. , ove si
sperimenta, con tre macchine motrici, il brevetto del capitano Michelangelo
Cattoni, collegato a costruttori inglesi, con un particolare sistema di
alimentazione in serie delle motrici in circolazione, in seguito superato
dalla tecnica di alimentazione delle motrici in parallelo, il sistema di
trazione elettrica poi divenuto usuale.
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doc. 7
ASC, Biblioteca Romana: 13293[25]
“Società Romana Tramways-Omnibus. Roma. Settembre
1895. La trazione elettrica in Roma a conduttura aerea sulla Tramvia
Piazza San Silvestro – Ferrovia – pel Quartiere Ludovisi”. Testo e
tavole.
Tavv.: I
(“planimetria”); III (“Sezioni trasversali”); VII (“Dettagli
dell’armamento del binario”); VIII (“Rimessa vetture. Piante e sezioni”);
X (“Rimessa vetture. Veduta interna”); XI (“Scala Eiffel per impianto
della linea aerea”); XII (“Vettura in prova per istruzione del
personale”); XXII (“Via Volturno”); XXIII (“Piazza dei Cinquecento”);
XXVI (“Vettura sollevata dal truck”); XXVII (“Elettromotore tipo GE 800”); XXIX (“Dettaglio
della linea aerea”)
|
Il progetto dell’ufficio
tecnico della S.R.T.O. approvato dal Consiglio Comunale l’8 febbraio 1895 ha avuto davanti a
sé un lungo iter burocratico: è stato approvato dal Ministero dei Lavori Pubblici
e da quello dell’Agricoltura Industria e Commercio. Il Genio Civile ha
compilare il disciplinare di costruzione e di esercizio. Oltre al parere
del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, anche il Comitato del Regio
Ispettorato delle Ferrovie e il Ministero delle Poste e Telegrafi (in base
alla nuova legge 7 giugno 1894 sulla trasmissione a distanza della corrente
elettrica) sono intervenuti a dare il loro parere. Infine la R. Prefettura ha
ritenuto opportuno chiedere anche il parere della R. Questura per quanto
attinente alla sicurezza pubblica. Eppure – come ci informa l’album
pubblicato dalla “Romana” in occasione dell’inaugurazione della nuova linea
elettrificata - i lavori sono stati completati con grande sollecitudine:
tutto l’impianto e il materiale mobile è pronto entro il 20 agosto e la
linea è inaugurata il 19 settembre 1895. La tecnologia è quella della casa
americana “Thomson Houston”, su licenza della quale l’impresa Miani e
Silvestri di Milano ha costruito le dieci vetture da porre subito in
esercizio; i materiali d’armamento provengono dalla ditta Phoenix di
Ruhrort in Vestfalia. Eppure alla messa in opera della linea ha concorso
anche molto lavoro e capacità delle maestranze romane: all’officina
Fumaroli, che ha eseguito anche tutte le decorazioni e mensole sospese ai
pali della linea aerea, sono stati affidati i lavori occorrenti per la
curvatura delle rotaie, per la loro foratura, per la montatura delle curve
e degli scambi; all’elettricista romano Di Lullo si deve il nuovo sistema di
illuminazione e di funzionamento dei riflettori di segnalazione applicato
alle vetture. Il tracciato, studiato per mettere in rapida comunicazione la Posta Centrale,
i Ministeri dei Lavori Pubblici e delle Finanze con la Stazione Termini
- alimentato dalla corrente fornita dall’officina elettrica della “Società
Anglo Romana per l’Illuminazione” situata a Porta Pia - si sviluppa per 2.804 m., con una
pendenza massima dell’83,5 per mille (fra le più ardite d’Europa) in
prossimità di porta Pinciana: l’esercizio si svolgerà sempre in modo
regolare, a testimonianza della validità delle soluzioni progettuali che i
tecnici dell’impresa romana per i trasporti hanno saputo elaborare.
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doc. 8
ASC, Biblioteca Romana: 30649[36]
Itinerari delle linee, prezzi ed orari dei tramways
elettrci e degli omnibus. Da: “Guida Monaci 1906. Guida commerciale di
Roma e Provincia”
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I
tramways a cavallo non sono più in uso. I veicoli, particolarmente quelli
chiusi, sono ancora impiegati saltuariamente come rimorchi dei tram
elettrici: i binari su cui scorrevano sono stati elettrificati. Nel 1904 le
ultime sostituzioni: il 1 marzo sulla linea esercitata dalla “Tramvie e
Ferrovie Economiche” Stazione Termini – Campo Verano e il 23 ottobre, per
la sola linea rimasta a cavalli della S.R.T.O.: si tratta della tratta piazza
del Popolo – Ponte Milvio, che era stata la prima su cui si era
sperimentata per breve tempo, nel 1890, la trazione elettrica, con il
sistema dell’ing. Cattori. Realizzate le opere stradali previste dal piano
regolatore del 1883, con l’allargamento e la sistemazione dei tracciati di
penetrazione del centro storico (apertura di Corso Vittorio, di via
Arenula, via Nazionale e via Cavour) altre linee tramviarie si sono
aggiunte, prolungandosi i binari anche lungo i nuovi assi di sviluppo della
città umbertina: via Nomentana, viale del Policlinico, viale del Re, via
Cola di Rienzo. Ora la S.R.T.O.
gestisce 6 linee di omnibus e 16 linee di tramvie elettriche. Cessato nel
1889 il funzionamento della tramvia a vapore per Marino con partenza da S.
Lorenzo (soppiantata dalla ferrovia che ne ricalca il tracciato,
attestandosi però a Termini), una nuova tramvia per i Castelli è stata
progettata dalla società costituitasi, anch’essa con capitale belga, fin
dal 1899: la “Società delle Tramvie e Ferrovie Elettriche di Roma”. Nel
1906 la S.T.F.E.R.
(futura STEFER) ha messo in esercizio – con funzionalità di tramvia
suburbana - il tratto di due chilometri già ultimato, da Porta S. Giovanni
al vicolo delle Cave, della “rete dei Castelli Romani”, per il cui
completamento occorrerà attendere il 1916.
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doc. 9
ASC, Archivio Generale - Stampati, b. 305, Titolo
51 “Strade ferrate tramvie a vapore e elettriche”, a. 1909
17 agosto 1909. Avviso pubblico che rende nota
l’approvazione della deliberazione comunale per la costruzione di linee
tramviarie e l’impianto di una officina centrale generatrice d’energia
elettrica al vaglio della commissione governativa istituita in base alla
legge 17 mag. 1903 n. 173
|
Dopo un lungo
travaglio dovuto soprattutto alle manovre della S.R.T.O. che si oppone alla
nascita delle aziende municipalizzate, la commissione istituita dal governo
ha finalmente dichiarato ammissibile il progetto che il Consiglio Comunale
ha approvato nel maggio 1908. Secondo quanto prescritto dalla legge sulle
municipalizzazioni, l’istituzione delle aziende pubbliche deve essere
sottoposta a referendum popolare. Nel manifesto si rende perciò noto alla
cittadinanza che sono esposti “presso l’Ufficio municipale tecnologico
posto al primo piano del palazzo Balestra in piazza dei SS. Apostoli, i
progetti tecnici e finanziari – relativi alle opere tramviarie e della
centrale elettrica da costruire - perché ciascun elettore possa
esaminarli nell’imminenza del “referendum” da indirsi a forma di legge”.
La consultazione sarà indetta per il 20 Settembre 1909, in concomitanza
con i festeggiamenti promossi con enfasi ogni anno nell’anniversario di
Porta Pia, bandiera ideologica delle forze laiche e democratiche che nel
contrasto politico cittadino si contrappongono allo schieramento
conservatore – clericale: la votazione darà 21.110 voti a favore e 333
contrari.
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doc. 10
ASC, Archivio Generale, b. 1454, Titolo 51 “Strade
ferrate tramvie a vapore e elettriche”, a. 1909
Società Romana Tramways Omnibus, statistica
passeggeri omnibus del settembre 1909
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Nel 1909 sono ancora in
esercizio sette linee con vetture omnibus a trazione animale. Sei i
percorsi usuali gestiti dalla S.R.T.O.: piazza Montanara - piazza Cola di
Rienzo, piazza Venezia - piazza Scossacavalli, piazza S. Pantaleo - piazza
S. Giovanni in Laterano, piazza di Spagna – piazza S. Pietro, piazza della
Cancelleria – piazza Principe di Napoli, piazza del Popolo – Piazza
Venezia. Oltre ad essi dal mese di agosto ne è stato attivato un settimo: a
provvedere provvisoriamente il quartiere Salario in espansione di un mezzo
di comunicazione, in attesa della linea tramviaria progettata dal Comune, è
stata istituita una linea di omnibus a cavalli da via Boncompagni a piazza
Quadrata, con percorso lungo via Po e coincidenza con le linee tramviarie
per le piazze S. Silvestro e Termini. Il nuovo servizio è stato affidato
dall’amministrazione Nathan alla S.R.T.O., dietro una corrisposta fissa,
assumendosi il Comune le eventuali passività dell’esercizio. Con una
capienza media di 20 passeggeri, le vetture impegnate sui sette percorsi
descritti, secondo questa statistica mensile elaborata dall’”Ufficio
Biglietti” della S.R.T.O. per il mese di settembre 1909 - quando a Roma si
svolge il referendum popolare sull’istituzione dell’azienda municipale dei
trasporti - hanno effettuato 33.525 corse con 363.500 passeggeri.
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doc. 11
ASC - Gabinetto del Sindaco, Titolo 36 “Ferrovie
Tramvie Omnibus Automobili”, a. 1911
“Società Romana Tramways e Omnibus. Progetto di
sistemazione generale della rete tramviaria di Roma. Piano della rete
esistente e di quella da costruire. Istituto Calcografico di E. Calzone.
Roma” [1911]
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Nella pianta che
accompagna le richieste presentate al sindaco dalla S.R.T.O. il 7 agosto
1911, sono indicate con linea azzurra continua le tratte tramviarie di cui
la società intende conservare l’esercizio in concessione e con linea tratteggiata
dello stesso colore quelle che ritiene di dismettere; con linea verde sono
indicate le nuove concessioni richieste al Comune. Nella stessa planimetria
è rappresentato lo sviluppo - secondo il “piano regolatore delle tramvie”
allo studio della giunta Nathan, in correlazione col nuovo “piano
regolatore edilizio” varato nel 1908 - previsto per la rete tramviaria
comunale (con linea rossa continua e tratteggiata). A lungo la S.R.T.O., cerca di
contrastare il piano municipale di razionalizzazione del sistema dei
trasporti cittadini, presentando piani diversi con lo scopo di mantenere la
sua posizione di monopolio. Durante l’amministrazione Nathan la società
ottiene comunque nuove concessioni, essendo indotta a riformare ed
intensificare i servizi per il quartiere Prati, a prolungare la linea di
Trastevere fino alla nuova stazione e quella di S. Agnese fino alla
Barriera Nomentana, ad istituire la nuova linea 6 (Termini – Palazzo di
Giustizia) e il nuovo percorso della linea 14 (da piazza Indipendenza fino
alla Barriera Trionfale). Nuove concessioni di linee tramviarie la “Romana”
ottiene anche, dopo le dimissioni della giunta Nathan, nel periodo
dell’amministrazione del commissario straordinario Fausto Aphel (8 dicembre
1913 – 6 luglio 1914).
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doc. 12
ASC, Biblioteca Romana: 13462[20]
S.P.Q.R. Regolamento speciale per l’Azienda delle
Tramvie Municipali di Roma (…) approvato dal Consiglio comunale nelle
sedute del 16 23 30 maggio e 6 giugno 1910 (…), Roma, Tip. F.Centenari,
1910
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Al termine del primo
anno di esercizio l’A.T.M, ha 202 dipendenti. L’organizzazione del
personale è definita nel Titolo II “Personale” del regolamento
dell’azienda, approvato nel 1910. Oltre al sistema di classificazione dei
dipendenti che qui vediamo, con la relativa tabella organica ove sono
indicati i livelli retributivi di ciascuna qualifica, il regolamento
enuncia i criteri con cui saranno effettuate le assunzioni e si darà corso
alle promozioni, definisce gli orari di lavoro e le norme relative ai
congedi. Sono inoltre regolamentate le procedure relative alle sanzioni
disciplinari e alla cessazione dal servizio. E’ infine definito il
trattamento pensionistico ed assicurativo del personale. La categoria dei
tramvieri, come tutte quelle dei pubblici servizi, è a Roma ben organizzata
sindacalmente e capace anche di lunghe vertenze in sostegno delle proprie
rivendicazioni. Anche nell’azienda pubblica, negli anni che precedono la
prima guerra mondiale non mancano momenti di tensione e scioperi come
quello del maggio 1912, quando i tramvieri dell’A.T.M. entrano in sciopero
per ottenere miglioramenti salariali e modifiche alla disciplina, oltre che
a difesa di un collega in prova che l’azienda ha licenziato. L’astensione
dal lavoro è compatta e i socialisti portano la questione nell’aula del
Consiglio Comunale: con la
Commissione amministratrice dell’azienda si trova un
accordo su quasi tutte le questioni, tranne che sulla riassunzione
dell’operaio.
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doc. 13
ASC, Ufficio V – Ispettorato Edilizio prot.
1678/1911
1911. “Case Cooperativa Tramvieri nel Quartiere
fuori porta S. Giovanni”. Progetto edilizio: “Planimetria generale”,
“Prospetto interno”, “Particolari per la costruzione di un camino,
lavandino e cesso”, “Sala per trattenimenti e festeggiamenti”. Istanza di
Felice Giammarioli, presidente della Cooperativa Tramvieri al Sindaco (3
aprile)
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Il progetto è diviso in
due lotti, il primo di 7 fabbricati, il secondo di 6, su terreni del
demanio comunale delle “aree fabbricabili” acquistati dalla cooperativa
lungo i nuovi tracciati viari previsti dal piano regolatore del 1908 fuori
porta S. Giovanni. L’Ufficio Toponomastica non ha ancora assegnato una
denominazione alle strade, sicché la “via prima” indicata nella planimetria
generale del progetto è la futura via Terni, la “via seconda” è l’attuale
via Orvieto, mentre l’asse principale, via La Spezia, è qui indicata
come la “via terza”. Il progetto è presentato il 1 aprile all’Ufficio
Tecnico comunale dall’ing. Edgardo Negri e sarà realizzato dall’Istituto
Case Popolari. Il presidente della Cooperativa dei tramvieri della S.R.T.O.
sollecita l’esame del progetto, rappresentando in una lettera al sindaco
l’urgenza per “la classe dei tramvieri” di veder costruiti i propri
alloggi. Vagliato dalla Commissione edilizia comunale, il progetto dovrà
essere migliorato in alcuni punti – si dovranno, per esempio, “eliminare
le camere prive di aria e di luce in prossimità delle scale” - ma è
infine approvato: con deliberazione della Giunta Comunale del 22 luglio (n.
8) è data via libera ai lavori.
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doc. 14
ASC, Biblioteca Romana: 21697
“Comitato per le Feste Cinquantenarie. Roma nel
1911. Guida ufficiale della città e dintorni con accenni
all’Esposizione”, Roma, Amministrazione della Rassegna “Roma”, via due
Macelli, 106. Frontespizio e allegata “Pianta di Roma colle linee delle
tramvie e degli omnibus”
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La guida è scritta dal
direttore della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Ugo Fleres, per il
visitatore approdato a Roma per prendere parte ai festeggiamenti del
cinquantenario dell’Unità d’Italia. Nella pianta inserita nella guida sono
evidenziate in rosso le aree e le strutture allestite per la grande parata
celebrativa che si svolgerà a Roma nel 1911. A Piazza d’Armi
sono allestiti i padiglioni dell’ “Esposizione Regionale ed Etnografica” e
nell’area di Vigna Cartoni a valle Giulia quelli della “Esposizione
Internazionale di Belle Arti”; alle Terme di Diocleziano si svolge
l’”Esposizione Archeologica” e a Castel S. Angelo l’”Esposizione
Retrospettiva”, a piazza Venezia infine si inaugura il grandioso monumento
a Vittorio Emanuele II e il Museo del Risorgimento. I collegamenti con le
due vaste aree espositive a nord della città sono assicurati dalla S.R.T.O.
con le linee in partenza da piazza Venezia. Per consentire l’afflusso dei
visitatori a Valle Giulia e in Piazza d’Armi l’A.T.M. fa di più: oltre alle
tre linee con cui è stato dato inizio al servizio della municipalizzata, si
attivano tre nuovi percorsi speciali, diretti per le esposizioni. Alle
linee I e II (circolare Piazza Colonna – Viale della Regina – Viale del Policlinico
- Piazza dei Cinquecento – Piazza Colonna, e stesso percorso in senso
inverso) e III (Piazza Colonna – S. Croce in Gerusalemme) si aggiungono le
linee IV Piazza Colonna -Valle Giulia e V che collega piazza dei
Cinquecento con l’area del futuro Quartiere della Vittoria; la linea VI
inoltre pone in diretto collegamento le due esposizioni, attraverso
l’attraversamento sul Tevere del nuovo ponte Flaminio (del Risorgimento)
appositamente costruito, su cui sono stati posati i binari del tram. Le
linee tramviarie della S.R.T.O. dal 1908 sono numerate – prima le vetture
recavano solo le tabelle con l’indicazione delle località collegate - e
poiché anche le linee dell’A.T.M. sono indicate con numeri, per non creare
confusione sono contrassegnate con i numeri romani: da I a VI.
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doc. 15
ASC, Archivio Generale – Titolo 86 “Azienda delle
Tramvie Municipali”, b. 1, fasc. 21
23 aprile, 18 giugno 1917. Informativa del direttore
dell’A.T.M. ing. Giulio Mazzolani al sindaco Prospero Colonna sulle
richieste di esonero dal servizio militare di personale indispensabile
all’azienda. Istanza del sindaco al gen. Giulio Fiastri, direttore dei
trasporti militari per ottenere l’esonero di 21 operai e tecnici
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Le richieste di esonero
per i capisquadra, gli operai specializzati, il personale tecnico e
amministrativo “insostituibile” dell’Azienda dei Trasporti Municipali, come
riferisce il direttore ing. Mazzolani in una delle numerose note in
proposito inviate al sindaco, sono respinte con intransigenza dalla
Commissione insediata presso il Sottosegretariato alle armi e munizioni del
Ministero della guerra, anche in deroga alla normativa che prevede
l’esonero degli addetti alle “aziende industriali”, erogatrici di servizi
essenziali. La cessazione del servizio di trasporto pubblico che incombe
sulla città, come dichiara il sindaco Colonna al direttore dei trasporti
militari presso l’intendenza generale dell’esercito, gen. Fiastri,
nell’inviargli una lista di 21 dipendenti “indispensabili e
insostituibili” perorandone l’esonero militare, metterebbe in crisi
anche il servizio di trasporto dei militari feriti. A questo provvede
l’A.T.M. con molti mezzi adibiti ad autoambulanza, avendo allestito binari
di raccordo che collegano gli ospedali con la stazione ferroviaria e i
diversi nosocomi fra loro. Dopo la disfatta di Caporetto nell’ottobre del
1917, con il richiamo al fronte dei giovanissimi della classe del 1899 –
dunque anche i giovanissimi avventizi dell’A.T.M. – il reclutamento del
personale maschile diverrà ancora più difficoltoso.
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doc. 16
ASC, Emeroteca Romana: Per. 933[36]
Reportage fotografico sull’occupazione femminile nei
servizi pubblici. Da: “L’Illustrazione Italiana”, 20 maggio 1917
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Nel servizio fotografico
del popolare settimanale illustrato è ben documentata l’ampiezza
dell’impiego delle donne durante la grande guerra, in sostituzione degli
uomini impegnati sul fronte. Sono riprese: “le tranviere bigliettarie e
manovratrici” all’opera, “la manovra del trolley”, “la scuola
conducenti tramviere”; “i conti della giornata” di una
bigliettaia. Due fotografie sono dedicate anche al lavoro delle spazzine: “la
pulizia in marcia” e “una spazzina romana”. L’azienda dei
trasporti municipale con la delibera del 19 aprile 1915 - prima ancora
dell’entrata in guerra dell’Italia - comincia ad organizzarsi per
sostituire i richiamati alle armi oltre che con personale avventizio
maschile (giovanissimi fattorini) con personale femminile. Le donne sono
assunte nelle mansioni di fattorine, quindi addestrate anche a condurre i
tram. Tutte le fattorine e le conducenti dell’A.T.M. saranno congedate fra
il novembre 1919 (solo in questo mese infatti il governo emana il decreto
relativo al licenziamento della manodopera femminile nel settore del
trasporto pubblico) e il dicembre dell’anno successivo. Nella foto al
centro, la vettura “riservata” adibita a scuola per le aspiranti
conducenti che reca anteriormente il numero di matricola 161, fa parte
della prima dotazione di 35 motrici dell’A.T.M., costruite dalla Società
Carminati e Toselli di Milano – in seguito molte vetture saranno costruite
anche nelle officine della romana “Tabanelli” sulla via Prenestina - che
sono state appunto numerate con numeri dispari da 101 a 169. Le 12
rimorchiate che fanno parte della stessa prima dotazione di materiale
rotabile sono state invece immatricolate con numeri pari da 102 a 124.
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doc. 17
ASC, Archivio Generale – titolo 86 “Azienda delle
Tramvie Municipali”, b. 1, fasc. 8
13 gennaio 1917. Volantino del “Sindacato Tramvieri
Italiani Sezione Municipale” nell’imminenza dello sciopero indetto per il
17 gennaio
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I tramvieri ricordano
che dopo l’entrata in servizio delle prime conducenti, presentarono un
memoriale al presidente dell’Azienda dei Trasporti Municipale in cui
sostenevano “le ragioni morali, fisiologiche, mediche, giuridiche e
sociali … in appoggio alla domanda di chiusura della scuola delle donne
conducenti”. La vertenza contro l’impiego delle donne nell’A.T.M.,
culminerà nello sciopero del 17 gennaio 1917, proclamato anche per chiedere
l’aumento dei salari, erosi dal caro-viveri. In realtà se la direzione
dell’azienda si mostrerà proclive ad accogliere le richieste degli
scioperanti, che conducono la loro agitazione soprattutto per avere
l’esonero dal richiamo alle armi - “Il Popolo” di Mussolini li attacca
violentemente, definendoli “imboscati” - è il sindaco Prospero
Colonna, convinto interventista, ad opporsi alle richieste dei tramvieri.
Lo sciopero - su cui la
Camera del Lavoro di via del Seminario rimasta fedele
agli ideali pacifisti del socialismo riformista gioca la sua prima uscita
pubblica, dopo la scissione dei sindacalisti interventisti che hanno dato
vita ad una nuovo organismo in via della Croce Bianca - acquista una chiara
valenza politica. La partecipazione sarà compatta: si asterranno dal lavoro
261 tramvieri. Ma la sconfitta del sindacato è totale: si stabilirà fra l’altro
che rimanendo posti per giudatore vuoti dopo il richiamo dal fronte di 70
conducenti destinati a sostituire gli scioperanti licenziati, saranno
interamente assegnati alle donne formate nella scuola conducenti A.T.M.
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doc. 18
ASC, Archivio Generale – Ufficio V – Ispettorato
Edilizio, prot. 1644/1920
1916 – 1920 “Progetto per la costruzione
dell’officina – deposito tram dell’A.T.M. nella Piazza d’Armi, variante 1920”. Planimetria,
prospetto principale, rimesse e officine, veduta generale
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La struttura prevista è
coperta e con ossatura in cemento armato. Nel progetto presentato
dall’A.T.M. nell’aprile 1916 è localizzata la sottostazione elettrica, che
dovrà alleggerire il lavoro di quella già esistente in via Volturno,
servendo la zona dei Lungotevere, di Valle Giulia e del Giardino Zoologico,
del quartiere Trionfale-Prati e la futura linea per Monte Mario. Sul
modello del deposito di S. Croce, il progetto prevede adeguate strutture
per ciascuno dei servizi: movimento, deposito con rimessa ed officine,
linea aerea, squadra binari, magazzino generale. I locali sono raggruppati
e distribuiti in modo funzionale alla divisione del lavoro, circoscrivendo
e separando gli ambienti di lavoro degli addetti a mansioni diverse, anche
al fine di controllare meglio le maestranze dal punto di vista disciplinare.
Lungo l’area perimetrale a sinistra dell’ingresso principale della rimessa
delle vetture, in un fabbricato a due piani, sono dislocati gli uffici
(dell’ingegnere capo, dei capo-movimento, capo-deposito e ispettori,
l’archivio, l’ambulatorio, la scuola fattorini, ecc.). I diversi reparti
del deposito propriamente detto (forgia, bobinaggio, officina meccanica,
falegnameria, verniciatura) sono situati in testata del pettine dei binari
della rimessa, nella più utile ubicazione per l’organizzazione del lavoro
del personale addetto alla manutenzione delle vetture. Il magazzino, locale
di 450 mq., che deve fornire materiali a tutti i vari servizi è collocato
al centro. Dopo i rilievi della Commissione edilizia municipale, nuovi
disegni sono presentati dall’azienda municipale che ottiene la licenza di
costruzione il 30 dicembre 1916 (con deliberazione della Giunta comunale
n.62) pur rimanendo in sospeso alcune questioni, fra cui la soluzione
progettuale per il prospetto su piazza Bainsizza che dovrà avere maggiore
decoro architettonico. La crisi bellica rallenta i lavori, che riprendono
nel 1918: il 9 aprile 1920 l’A.T.M., essendo la costruzione vicina al
completamento, presenta la variante approvata il 15 maggio dalla
Commissione edilizia con un nuovo disegno per il prospetto sulla piazza,
che prevede la costruzione di una cancellata in ferro, a chiusura dell’area
assegnata al deposito. Un particolare del disegno delle rimesse e delle
officine, ci presenta le vetture e ci permette di osservare i colori della
verniciatura: le motrici e le rimorchiate dell’A.T.M. sono dipinte con i
colori della tradizione capitolina: giallo e rosso. Lo saranno fino al
1925, quando su tutto il territorio nazionale il colore esterno dei mezzi
pubblici viene fissato in due toni di verde: allora sarà mantenuta solo una
sottile striscia bicolore giallo/rossa lungo la linea di separazione dei
due toni di verde. L’altra rivoluzione del 1925 è il passaggio alla
circolazione a destra: fino ad ora infatti, secondo l’uso ferroviario, le vetture
viaggiavano tenendo la mansinistra.
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doc. 19
ASC, Biblioteca Romana: 19920
“ATAG. Rivista mensile del Dopolavoro tramviario”,
anno III, marzo 1931: “Scuola di perfezionamento”
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La seduta inaugurale
della “Scuola di perfezionamento professionale” istituita dal Dopolavoro
dell’ATAG nel 1931, è un’occasione in più per i vertici dell’azienda, con a
capo il commissario ing. Renato Santamaria, per veicolare i principi
d’ordine ideologico cui si ispira la conduzione aziendale nel periodio del
Governatorato. “Professionalizzazione” e “disciplina” sono gli indicatori
dell’efficienza di un servizio pubblico che durante il ventennio fascista è
sottratto al controllo e all’indirizzo degli organismi elettivi della
democrazia locale e sottoposto esclusivamente alla direzione autoritaria
dello Stato. Già all’appuntamento dell’Anno Santo 1925 l’azienda si è
presentata con un nuovo volto: “modernizzata” e “fascistizzata”. Dopo la
liquidazione della vecchia guardia dei tramvieri antifascisti saranno
mandate in pensione anche le antiche vettura della S.R.T.O. e dell’A.T.M.
che possono trasportare 18 passeggeri a sedere e 20-22 in piedi (per un
totale di 38 – 40 passeggeri): fra il 1923 e il 1928 sono acquistati i
nuovi modelli, a carrelli e a piattaforma centrale, di maggiore capienza.
Mentre in azienda si aprono percorsi preferenziali nelle carriere e nel
trattamento retributivo per gli squadristi, si pianificano i servizi
dell’A.T.A.G. a supporto all’azione dello “stato sociale”: i servizi
speciali per il trasporto degli allievi delle scuole elementari alle scuole
all’aperto, all’Augusteo, alla scuola di nuoto e alle colonie estive diurne
di Monte Mario e della Passeggiata Archeologica; e per il collegamento,
durante la stagione balneare, di tutte le zone della città con il capolinea
della ferrovia Roma – Ostia Lido, inaugurata da Mussolini nel 1924.
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doc. 20
ASC, Biblioteca Romana: 16104 [6]
Direzione dell’A.T.A.G. in via Volturno.
Illustrazione da: S.P.Q.R. Azienda delle Tramvie e Autobus del
Governatorato di Roma (A.T.A.G.). Notizie, Roma, 1939
|
L’amministrazione
dell’A.T.M. inizialmente dislocata presso l’”Ufficio Tecnologico”
dell’amministrazione Nathan, nel palazzo Balestra a piazza S. Apostoli, nel
1912 è trasferita nella sede, che è ancor oggi dell’A.T.A.C,. in via
Volturno. Divenuti insufficienti i locali della palazzina sistemata una
prima volta nel 1915, nel maggio 1928 è inaugurata la nuova ampliata sede
dell’Azienda dei trasporti del governatorato, realizzata con l’occupazione
dell’area comunale esistente fra le vie Volturno e Gaeta e la piazza dei
Cinquecento. Il progetto realizzato consente la messa in luce dei ruderi
delle mura Serviane racchiuse nell’area stessa, con l’abbattimento di una
serie di piccole costruzioni che si sono venute addossando alle antiche
mura. La sistemazione a giardini dello spazio risultante, in prolungamento
di quelli che circondano i resti delle Terme di Diocleziano dà nuovo decoro
all’area della stazione, primo scorcio urbanistico-archeologico dell’Urbe
fascista a dischiudersi, con piacevole impressione, davanti al viaggiatore
in arrivo a Termini.
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doc. 21
ASC, Biblioteca Romana: 18232 [5]
“Guida dei trams e autobus di Roma. Pianta delle
linee tramviarie e di autobus. Fac-simile dei biglietti, 1930”
|
Con la riforma del
traffico in vigore dal 1 gennaio 1930 è ridotta di circa 130 km la lunghezza di
esercizio della rete tramviaria, con la demolizione del più antico
materiale rotabile, specie quello proveniente dalla S.R.T.O. e dalla
società delle “Tramvie e Ferrovie Economiche”, completamente assorbite
dall’A.T.A.G. fra il 1927 e il 1929. La zona centrale servita solo da
autobus è delimitata dal percorso della linea “circolare centrale”
tramviaria (CD centrale destra e CS centrale sinistra) il cui tracciato è
qui tratteggiato con la linea rossa (piazzale Flaminio – viale del Muro
Torto – piazza Fiume – Porta Pia – piazza della Croce Rossa – piazza
Indipendenza – piazza dei Cinquecento – via Cavour – via degli Annibaldi –
Colosseo – via S. Gregorio – via dei Cerchi – Bocca della Verità –
lungotevere – Ponte Umberto I – via Ulpiano – piazza Cavour – via F. Cesi –
Ponte Margherita – Piazzale Flaminio). Lungo il tragitto della circolare
sono situati nove snodi autotramviari, denominati ciascuno con l’iniziale
del rione o quartiere dove sono localizzati: F (Flaminio), S (Salario), N
(Nomentano), ecc. La rete degli autobus è composta da 28 linee: 8 centrali,
denominate dalle due lettere dei nodi ove sono i capolinea (es.: FE per
l’autobus dal Flaminio all’Esquilino), una linea radiale piazza Fiume –
piazza Trasimeno, 3 di penetrazione nel centro, 12 periferiche, 2 speciali,
2 notturne. La rete dei tram è invece composta di 32 linee: la circolare
interna, 26 linee radiali che vanno dai quartieri al nodo più vicino, 3
linee che formano tratti di un anello circolare esterno e 2 periferiche. A
ispirare la riforma sono anche ragioni di “ordine pubblico”: è introdotta
una maggiorazione delle tariffe sulle linee del centro e con l’alto prezzo
del biglietto si intende limitare il transito nell’area monumentale della
città storica, soprattutto interdirlo a quegli strati meno abbienti della
popolazione, destinati ad essere espulsi dalle aree di rappresentanza della
capitale, trasferiti nelle lontane borgate costruite nell’estrema
periferia. Nella vita quotidiana dei romani la riforma significherà
soprattutto spostamenti più difficili, con un maggior numero di trasbordi.
Anche il nuovo sistema tariffario non funziona, recando un dissesto
all’azienda che sarà costretta a un generale riordino delle tariffe, nel
1931.
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doc. 22
ASC, Biblioteca Romana: 15327[1]
“Capitolium”, anno XI, aprile 1935. “Come funziona l’autobus
a legna”
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La carenza di materie
prime, in particolare la scarsa disponibilità dei derivati del petrolio,
nafta e benzina, portano il regime a sperimentare altre strade per il
propellente, strade “autarchiche”. Così l’A.T.A.G. intraprende la
produzione di una miscela propria, il carburante “Roma” adottato largamente
al posto della benzina nelle vetture con motore a scoppio. Nel 1934
l’azienda applica un gassogeno a legna tipo “Imbert” – il cui funzionamento
ci viene illustrato su “Capitolium”, la rivista ufficiale del Governatorato
di Roma, dal direttore dell’A.T.A.G. Vittorio Immirzi - ad una vettura in
servizio di linea. Quindi sono trasformate con gassogeni numerose vetture a
benzina, altre ne sono acquistate già modificate. L’autobus a gassogeno, o
come lo chiamano familiarmente i romani “a carbonella” con 135 chili
di legna riesce a percorrere circa 100 chilometri
ed è costruito dalla Fiat e dall’Alfa Romeo. Nel 1939, alla vigilia della
guerra, del parco automezzi faranno parte 110 vetture alimentate con
gassogeno a legna, con una percorrenza giornaliera di 12400 Km.
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doc. 23
ASC, Biblioteca Romana: 15110 [2]
“Azienda delle tranvie e autobus del Governatorato.
Pianta della rete centrale autobus di Roma al 1° febbraio 1935 – XIII”
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Il 21 aprile 1931 è
attivata un’altra linea circolare di tram (la ED esterna destra e ES esterna sinistra) che,
con le sue tabelle scritte in rosso si guadagna il nome di “circolare
rossa”. A parte il rilievo assunto dalla nuova linea tramviaria, che
supererà nelle utenze la “circolare nera”, affermandosi nel trentennio
successivo come la principale linea di forza del trasporto romano, negli
anni successivi continua l’avanzata dell’autobus, anche nei collegamenti
del suburbio. Gli autobus in dotazione all’A.T.A.G. sono acquistati dalla
FIAT, dalla Lancia e dall’Alfa Romeo e sono assegnati a tre depositi
diversi ciascuno dotato di scorte omogenee di ricambi e personale
specializzato per la manutenzione: le vetture Alfa Romeo sono assegnate al
nuovo deposito di Portonaccio, le FIAT a Trastevere e le Lancia a via Carlo
Felice, in quello che era già il vecchio deposito tramviario dell’A.T.M. Il
parco degli autobus a nafta che nel 1933 è di 36 vetture, nel 1939 è
aumentato a 211.
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doc. 24
ASC, Biblioteca Romana: 15327[3]
“Capitolium”, anno XII, febbraio 1937. “Le filovie a
Roma”
|
Con la guerra d’Etiopia
e le sanzioni decretate dalla Società delle Nazioni contro l’Italia, la
carenza di combustibile si aggrava, sicché l’ATAG introduce i filobus, in
modo che la trazione elettrica torna ad avere il ruolo predominante che ha
avuto fino al 1929. Nel 1939 la rete filotramviaria si sviluppa su 77 Km. di linea aerea,
prevedendosi una percorrenza di 8.400.000 km.,
cioè il 13% dell’intera percorrenza dell’esercizio (alcune linee
filotramviarie vanno a sostituire linee automobilistiche e tramviarie già
in essere). Per l’Esposizione Universale del 1942 si prevede di dare alla
rete dei trasporti un assetto per cui le linee del centro saranno servite
dagli autobus (per 58 km.),
quelle più eccentriche dai filobus (per 315 km.), limitandosi le
linee tramviarie ad una sola grande linea circolare e a due delle 5 linee
nuove di lunga percorrenza, previste per collegare la zona dell’Esposizione.
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doc. 25
ASC, Biblioteca Romana: 19920
“ATAG. Rivista mensile del Dopolavoro Tramviario”,
a. III, gennaio 1931: “Befana fascista dell’ATAG”
|
La manifestazione per la
distribuzione di doni ai figli dei dipendenti dell’ATAG si svolge il 5
gennaio nel Deposito Flaminio, alla presenza dei vertici aziendali. Si
distribuiscono oltre tremila pacchi “confezionati secondo il numero dei
figli di ogni agente”, contenenti “vestiti, pull-over, paletot,
giocattoli e dolci”: una manifestazione di rito, che ci riporta al
clima ideologico degli “anni del consenso” al fascismo. La “befana
fascista” è occasione di compiaciuta esibizione dei benefici dello “stato
sociale” ed ideale spazio di propaganda per la campagna per la “nuzialità”
e la “natalità”, promosse dal regime con sostegni e provvidenze in favore
delle “famiglie numerose”. La manifestazione è organizzata dal Dopolavoro
dell’A.T.A.G.. Creato nel 1925 ed inquadrato nell’Opera Nazionale
Dopolavoro quello dei tramvieri è uno dei più attivi nella capitale
fascista, con i suoi 5.000 iscritti nel 1932, e le strutture consistenti di
cui dispone. La sede principale - la “casa fascista del tramviere”
inaugurata nel 1925 in
via S. Grattoni a Porta Maggiore - e le quattro secondarie poi attivate nei
depositi Flaminio e Vittoria, al campo sportivo solarium sul lungotevere
Flaminio e alla Cooperativa case in via Circonvallazione Appia sono dotate
di locali per le riunioni, di aule per i corsi scolastici, di palestre,
refettori. Qui una straordinaria macchina di comunicazione collettiva
“educa” e promuove un universo sociale integrato e sereno, quello dei volti
svagati e sorridenti che si affollano nelle foto di gruppo dei lavoratori e
delle loro famiglie alle tante gite d’istruzione, gare sportive, feste…
immortalate nelle cronache ricche di immagini ed illustrazioni della
rivista dopolavoristica, ad alta tiratura, dei tramvieri.
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doc. 26
ASC, Biblioteca Romana: 16104 [6]
Rete auto-filo-tramviaria nel 1938. Nuove Officine
Centrali: reparto autobus, refettorio operai. Da: S.P.Q.R. Azienda delle
Tramvie e Autobus del Governatorato di Roma (A.T.A.G.). Notizie, Roma,
1939
|
Molto ampliato è alla
vigilia della seconda guerra mondiale il numero delle rimesse e dei
depositi dell’A.T.A.G.. Nel triennio 1927 – 1929 entrano in funzione le
autorimesse Portuense e Flaminia, e il deposito Littorio vicino S.Paolo,
entro il 1936 sono attivate le autorimesse Sabotino, Tuscolana, Flaminia B,
Trastevere, Tiburtina e Lido. Qui sono documentate, le officine centrali
sulla via Prenestina prima dei danneggiamenti dovuti ai bombardamenti del
1943, con i particolari costruttivi delle coperture dei vastissimi locali,
che comprendevano anche un ampio refettorio, sale di ritrovo e l’infermeria
per gli operai.
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doc. 27
ASC, Emeroteca Romana: Quot. 173[34]
“Il Popolo di Roma”, 12 maggio 1942: “La consegna
delle tessere ai lavoratori dell’ATAG. Fervide manifestazioni al Duce. La
parola del Federale alle maestranze”
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L’Italia dal giugno del
1940 è in guerra a fianco della Germania nazista. Mentre si avvicinano i rovesci
militari del 1943, la guerra ha portato solo lutti e sacrifici, a Roma la
popolazione già fa i conti con la scarsità dei generi di prima necessità e
il clima non è più quello di esaltazione e di incondizionata adesione al
fascismo con cui si sono chiusi gli anni Trenta. La consegna delle tessere
del Partito Nazionale Fascista presso le officine centrali sulla via
Prenestina alla presenza del governatore, principe Gian Giacomo Borghese, e
dei vertici aziendali è dunque occasione per rivolgere alle maestranze un
discorso inneggiante alla vittoria che, con la terminologia della
propaganda fascista, il segretario federale definisce vittoria del lavoro,
contro le “forze demo-pluto-massoniche ed ebraiche”. Come nel precedente
conflitto si impiega personale femminile sulle vetture in sostituzione
degli uomini richiamati alle armi. Le donne svolgono la mansione di
bigliettaie, come ci illustra la foto della fattorina in divisa che si
affianca all’articolo, con la didascalia: “Sui filobus e sugli autobus
hanno preso servizio, dopo un periodo di accurata preparazione, le prime
fattorine, in semplice e sobria divisa, Il pubblico ha notato con cordiale
simpatia l’inizio dell’attività di queste giovani lavoratrici che hanno
preso il posto dei loro congiunti richiamati alle armi”. La divisa,
studiata dall’A.T.A.G. con caratteri di eleganza, è di colore blu con
giacca stile sahriana e cappello, entrambi con simbolo dell’azienda, gonna
pantaloni, borsa a tracolla e cappotto invernale.
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doc. 28
ASC, Segretariato Generale, Titolo II classe 8/4
prot. 3665/ 1942
Deliberazione del Commissario dell’A.T.A.G. n. 183
del 10 marzo 1942 “Premio di presenza alle allieve fattorine per la
durata del corso d’istruzione”
|
Il commissario
dell’A.T.A.G. ing. Luigi Giapponi, trasmette al governatore, principe Gian
Giacomo Borghese, la delibera con la quale è stabilita una remunerazione di
10 lire a giornata di presenza per le donne ammesse al corso per fattorine.
Poiché “Con gli attuali continui richiami alle armi si è verificata una
notevole deficienza di personale nelle varie categorie e particolarmente in
quella dei fattorini che per la massima parte è composta di elementi
giovani e quindi più facilmente soggetti ai richiami” l’azienda intende
premunirsi, assicurandosi la disponibilità del personale occorrente,
qualora ve ne sia la necessita. E’ il “Centro Federale di Mobilitazione
Civile” a selezionare le candidate in possesso dei “necessari requisiti
fisici e morali”. Frequentato il corso e ottenuta l’abilitazione alla
mansione, le fattorine saranno chiamate in servizio se la necessità lo
imporrà: il corso cui fa riferimento la deliberazione dall’A.T.A.G.,
articolato in trenta lezioni, consentirà ad un primo gruppo di fattorine di
entrare in servizio il 14 maggio 1942.
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doc. 29
ASC. Emeroteca Romana: Per. 699[18]
“La Tribuna
Illustrata”, 31 ottobre 1943: “Aspiranti fattorine tranviarie
a scuola”
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L’articolo - uno dei
pochi che appare sulla stampa “velinata” dell’epoca - illustra il modo in
cui sono condotti i corsi per fattorine dellA.T.A.G., con il corredo di
foto che mostrano le allieve durante le lezioni: alla lettura del
biglietto, di fronte la grande pianta che illustra la rete dei trasporti
cittadini con il tracciato delle linee “diametrali” e “radiali”, in una
esercitazione pratica sugli scambi dei binari. Nelle assunzioni, superato
l’esame di idoneità, hanno la priorità le congiunte dei dipendenti
richiamati alle armi, che sono sottoposte agli stessi turni di lavoro e
percepiscono eguale retribuzione. “Dovunque le bigliettarie – commenta
il cronista - hanno dato ottimi risultati. Nei primi giorni in cui
prestano servizio gl’incassi sulla loro vettura subiscono quasi
invariabilmente una lieve diminuzione, perché esse al primo contatto con il
pubblico si sentono alquanto intimidite e confuse e qualcuno più o meno
involontariamente finisce per fare il viaggio senza pagare il biglietto. Ma
presto esse acquistano… l’occhio clinico e la risolutezza che è necessaria
per riconoscere l’eventuale passeggero che ritarda l’acquisto del biglietto
e affrontarlo, sia pure con tutta cortesia”. Ciò nonostante, tutte le
fattorine impiegate a partire dalla primavera del 1942 dall’azienda dei
trasporti del Governatorato - in servizio effettivo al 31 dicembre 1943 ve
ne sono 523 – saranno repentinamente licenziate nel gennaio 1944.
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doc. 30
ASC, Segretariato Generale, Titolo. II, classe 8,
fasc. “Varie”, prot. 9268/1943
20 agosto 1943. Rapporto del Direttore dell’A.T.A.G.
Vittorio Immirzi sul “Trasporto sinistrati dall’incursione nemica del 19
luglio 1943”
|
Il 10 luglio 1943 gli
Americani sono sbarcati in Sicilia: nove giorni dopo il primo massiccio
bombardamento su Roma, cui il 25 luglio, con la destituzione di Mussolini
da capo del governo, fa seguito la drammatica caduta del regime. Gli
obiettivi dei 662 bombardieri statunitensi che si levano in volo su Roma la
mattina del 19 luglio sono gli scali ferroviari Littorio e S. Lorenzo e gli
aeroporti Littorio e Ciampino. I bombardamenti devasteranno anche il
popoloso quartiere di S. Lorenzo, ove maggiore è il numero dei morti, e
colpiranno pure altre zone, come quelle delle stazioni Termini, Prenestina
e Tiburtina, della Città Giardino e della Città Universitaria, Porta
Maggiore, piazza Santa Croce, via Appia: le vittime fra la popolazione
civile saranno circa un migliaio. Al capo di gabinetto del Governatorato,
nello stesso giorno in cui è destituito il governatore Borghese, il
direttore dell’A.T.A.G. invia la nota delle spese sostenute dall’azienda
per i servizi riservati di soccorso svolti fra il 19 e il 28 luglio, molti
su richiesta dei gruppi rionali e della federazione fascista dell’Urbe,
enti ora disciolti: “Furono percorsi Km. 2.275, che a puro rimborso
spese importano un onere di £. 20.020. Ora poiché alcuni degli Enti
richiedenti sono disciolti, e d’altra parte per effettuare tali servizi
quest’Azienda è stata costretta a sopprimere per qualche giorno l’esercizio
di alcune linee autobus, si domanda a codesto Governatorato il rimborso
della spesa suddetta”. La risposta del commissario straordinario
insediato in Campidoglio il 21 agosto, senatore Riccardo Motta, prevede
l’assunzione dell’onere a carico dell’ATAG, salvo poi interessare
l’Intendenza di Finanza “Per quanto riguarda l’eventuale recupero della
parte di spesa a carico del disciolto Partito Fascista e dipendenti
organizzazioni”.
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doc. 31
ASC, Segretariato Generale, Titolo II, classe 8,
fasc. “Varie”, prot. 1001/ 1943
4 ottobre 1943. “Promemoria per l’eccellenza il
commissario straordinario per il Governatorato di Roma” Riccardo Motta,
sulla requisizione effettuata dal Comando tedesco di autoveicoli
dell’A.T.A..G., 4 ottobre 1943
|
Occupata fra il 9 e il
10 settembre Roma, i tedeschi cominciano subito a requisire i mezzi
dell’A.T.A.G.. I danni si sommano a quelli già provocati dai bombardamenti
alleati del luglio e dell’agosto: sono stati colpiti gli impianti sulle strade,
bombardati il deposito a Porta Maggiore e le officine centrali sulla via
Prenenstina, distrutte o danneggiate centinaia di vetture. Ai primi di
ottobre i tedeschi si sono già impossessati di 41 autobus, 3 autocarri e 1
camioncino. Il trasporto pubblico nella capitale è già a terra, soprattutto
quello delle linee periferiche quando il 4 ottobre l’azienda chiede al
Commissario straordinario per il Governatorato Motta “di interporre i
suoi buoni uffici presso l’Ambasciata Germanica” per scongiurare la consegna
di altri 15 automezzi di cui i tedeschi chiedono la consegna: i danni di
guerra ai mezzi e agli impianti dell’azienda dei trasporti nel 1948 saranno
calcolati in quattordici miliardi.
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doc. 32
ASC, Biblioteca Romana: 15327[18]
“Capitolium”, anno XXX, febbraio 1955. “Sulla
metropolitana di Roma”
|
All’epoca
dell’inaugurazione della prima linea metropolitana di Roma, il 9 febbraio
1955, solo le fermate da via Cavour alla Piramide sono in zona abitata. Con
l’architettura monumentale delle sue stazioni, l’arredo marmoreo e
l’ampiezza della galleria, il primo tronco dell’attuale linea B sconta le
finalità eminentemente celebrative e “di parata” secondo cui ne è stato
ideato il tracciato nel 1937, per congiungere la stazione Termini con l’area
della progettata “Esposizione Universale” alle Tre Fontane. Negli anni
Cinquanta risalta dunque il contrasto fra la grandiosità dell’opera e la
scarsità dell’utilizzo: fino alla fine del decennio l’affluenza è piuttosto
limitata, non superando i 36.000 passeggeri al giorno. L’E.U.R. è ancora in
costruzione e l’ultima fermata, la Laurentina, dista notevolmente dalle più
vicine aree abitate (la
Cecchignola e il Villaggio Giuliano). La linea
metropolitana, con il trasbordo sulla ferrovia per il Lido alla stazione
della Piramide e l’innesto delle due linee in una sola alla stazione della
Magliana, in realtà sarà soprattutto, come preconizza l’autore di questo
articolo pubblicato su “Capitolium” - che continua ad essere la rivista
ufficiale del Comune di Roma – il volano per lo sviluppo verso sud – ovest,
“verso il mare”, della città. Il nuovo piano regolatore, che ratificherà
questo orientamento, sarà varato agli inizi degli anni Sessanta.
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doc. 33
ASC, Biblioteca Romana:15327[32]
“Capitolium”, anno XLVII, febbraio-marzo 1972.
“Metropolitana difficile”
|
Nel percorso di 15 chilometri
della linea metropolitana attivata il 16 febbraio 1980 da Ottaviano a
Cinecittà, tre sono gli snodi che qualificano la progettazione: i due
complessi sotterranei di piazza dei Cinquecento e di piazza di Spagna e l’attraversamento
sul fiume fra i lungotevere Arnaldo da Brescia e Michelangelo. Solo dal
1969 la gestione dei lavori è “decentrata” dal Ministero dei Trasporti
all’amministrazione locale: solo ora infatti è abrogata la normativa del
“Governatorato” fascista che, esautorando il municipio, attribuisce la
competenza della costruzione della grande opera allo Stato. A
caratterizzare il lungo iter costruttivo della metro A – circa un ventennio
- sono però soprattutto le controversie legate alla scelta del percorso e
alla tecnica di scavo. Dopo l’inizio dei lavori, il 12 marzo 1964 partendo
dall’Osteria del Curato lungo la via Tuscolana, con la tradizionale tecnica
dello “scavo a cielo aperto”, i disagi alla viabilità e le accese proteste
dei residenti e dei commercianti provocano la chiusura dei cantieri per tre
anni e mezzo. I lavori riprendono nel gennaio del 1969, quando la società
appaltatrice è finalmente in grado di approntare i mezzi tecnici, gli
“scudi rotanti” per lo scavo in galleria, a maggiore profondità. Dunque nel
tratto (da largo dei Colli Albani al Flaminio) ove lo scavo si realizza con
la “talpa”, alla galleria a doppio binario si sostituiscono due gallerie
affiancate “a semplice binario”, così come illustrato nel disegno tecnico
che correda questo articolo apparso su “Capitolium” tre anni dopo la
ripresa dei lavori.
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1.1 Bibliografia e stampa periodica della Biblioteca
Romana
e dell'Emeroteca Romana dell'Archivio Capitolino
|
1.
Regolamento edilizio e di pubblico ornato per la città di Roma [30 aprile
1864]. ASC, Biblioteca Romana: 11590[16 bis].
2.
Regolamento per le vetture pubbliche e per le vetture – omnibus nella
città di Roma deliberato dal Consiglio Comunale e approvato dalla
Deputazione Provinciale e dal Ministro dell’Interno, Roma, Tip.
Sinimberghi, 1878. ASC, Biblioteca Romana: 30072[4].
3.
“Il Messaggero”, 6 luglio 1890. “Il tram elettrico dal Popolo a Ponte
Milvio”. ASC, Emeroteca Romana: Quot. 118[8].
4.
Memorandum dei tramvieri urbani agli Onorevoli Consiglieri Comunali di
Roma, Roma, Tip. Editrice Roma, [1907]. ASC, Biblioteca Romana:
11642[2].
5.
“Il Messaggero”, 22 marzo 1911. “L’inaugurazione delle tramvie
municipali”. ASC, Emeroteca Romana: Quot. 118[48].
6.
“Il Messaggero”, 17 marzo 1912. “Il nuovo quartiere dei tramvieri”.
ASC, Emeroteca Romana: 118[50].
7.
“Il Messaggero”, 17 gennaio 1918. “La tramvia al Gianicolo”. ASC,
Emeroteca Romana: Quot. 118[62].
8.
Inchiesta tramviaria [relazione presentata il 27 settembre 1920
dalla commissione incaricata dal sindaco Apolloni di chiarire lo svolgimento
dei fatti del 20 – 21 luglio 1920, per accertare le responsabilità in ordine
ai danneggiamenti delle vetture], Roma, Tip. F. Centenari, 1921. ASC,
Biblioteca Romana: 19118[41]
9.
“La Tribuna”,
2 luglio 1920: “Gli autobus al Corso”. ASC, Emeroteca Romana: 127[67].
10.
L’amministrazione straordinaria del Comune di Roma nel biennio 1923
– 24. Relazione del R. Commissario Senatore Filippo Cremonesi, Roma,
Centenari, 1924. ASC, Biblioteca Romana: 7788
11.
P. ORLANDO, Alla conquista del mare di Roma, Roma, Tip. C.
Colombo, 1941. ASC, Biblioteca Romana: 17739.
12.
B. PALMA, Dall’EUR a Valmelaina. Una Metropolitana per Roma,
in: “Capitolium”, a. XLVII, maggio-giugno 1972. ASC, Biblioteca Romana:
15327[32]
1.2 I fondi documentari dell'Archivio
Capitolino
|
I.
30 luglio 1857. “Direzione
Generale di Polizia. Regolamento sulle vetture ed altri mezzi di trasporto”.
ASC, Comune Pontificio, Manifesti avvisi notificazioni, b. 32, fasc. 14.
II.
13 ottobre 1870. Richiesta
per la “concessione privileggiata” di “un ben combinato sistema di
pubblici rotabili (omnibus)” avanzata al Municipio di Roma dalla “Società
anonima Romana degli Omnibus”, rappresentata da G. Negri V. Queirazza V.
Natili T. Negri (con statuto della società). ASC, Comune Pontificio,
Titolo 68 “Vetture pubbliche e private”, b. 1, fasc. 3. (prot. 2725/1870).
III.
10 luglio 1876. “Contratto
stipulato col sig. Francesco Marini concessionario dell’Impresa Romana degli
Omnibus, circa il servizio dei medesimi”. ASC, Contratti, vol. 41 (Atti
Privati).
IV.
31 marzo 1880. “Concessione
per la costruzione e per l’esercizio di un Tramway dalle piazze dei Santi
Apostoli o dal Largo di San Romualdo alla via Volturno e dal Piazzale di
Termini alla Piazza di San Giovanni”. ASC, Contratti, vol. 66 (Atti
Pubblici).
V.
29 dicembre 1880. “Concessione
per la costruzione ed esercizio di Tramway fra la piazza Montanara e il
piazzale della Basilica di San Giovanni… a Marotti ing. Gio. Battista”. ASC,
Contratti, vol. 67 (Atti Pubblici).
VI.
20 agosto
1885. “Convenzione per l’esercizio degli Omnibus nell’interno della città tra
il Comune di Roma e la
Società Romana degli Omnibus” di Francesco Marini,
rappresentato dal figlio Marino. ASC, Contratti, vol. 99 (Atti Pubblici).
VII.
14 settembre 1888. “Convenzioni
fra il Comune di Roma e la
Società Romana Tramways-Omnibus”. ASC, Contratti, vol. 115
(Atti Pubblici).
VIII.
6 febbraio 1889. “Convenzione
fra il Comune di Roma e la
Società Anonima Italiana Omnibus Tramways e Trasporti”.
ASC, Contratti, vol. 119 (Atti Pubblici).
IX.
17 maggio 1895. “Contratto
colla Società Romana Tramways-Omnibus per la concessione di una linea di
tramways a trazione elettrica da via della Mercede a piazza di Termini in
surrogazione di altre linee di omnibus”. ASC, Contratti, vol. 158 (Atti Pubblici).
X.
13 maggio 1908.
Verbale del Consiglio Comunale, proposta n. 106: “Costruzione ed esercizio
di nuove linee tramviarie da parte del Comune”. ASC, Atti a stampa CC, vol.
88.
XI.
22 maggio 1908.
Verbale del Consiglio comunale, proposta n. 135: “Impianto comunale di
generazione e distribuzione di energia elettrica”. ASC, Atti a stampa CC,
vol. 88.
XII.
14 e 18 marzo 1910.
Verbali del Consiglio Comunale. Interrogazioni sullo sciopero tramviario in
corso. ASC, Atti a stampa CC., vol. 94.
XIII.
29 ottobre e 5
novembre 1915. Verbali del Consiglio Comunale, proposta n. 247: “Provvedimenti
generali per l’Azienda delle Tramvie Municipali di Roma”. ASC, Atti a stampa
CC, vol. 112.
XIV.
19 gennaio 1917.
Verbale del Consiglio Comunale. Interrogazioni sullo sciopero dei dipendenti
dell’A.T.M. del 17 gennaio. ASC, Verbali CC, vol. 262.
XV.
11 aprile 1917. Il
direttore dell’A.T.M. ing. Giulio Mazzolani al sindaco Prospero Colonna sul
richiamo alle armi di personale indispensabile al servizio. ASC, Archivio
Generale (1871 – 1922) – Titolo 86 “Azienda delle Tramvie Municipali”, b. 1,
fasc. 15.
XVI.
17 23 25 gennaio
1919. Verbali del Consiglio Comunale, proposta n. 351: “Richiesta alla
Società Romana Tramways Omnibus di una proroga per un triennio delle
concessioni tramviarie che hanno le loro scadenze nel 1920”. ASC, Atti a stampa
CC, vol. 121.
XVII.
Febbraio –
settembre 1919. Carteggio del sindaco Prospero Colonna con il prefetto Fausto
Aphel e la S.R.T.O.
sul riscatto da parte del Comune del materiale rotabile e delle linee
tramviarie esercitate dalla società. ASC, Archivio Generale (1871 – 1922)
– Titolo 86 “Azienda delle Tramvie Municipali”, b. 1, fasc. 40.
XVIII.
21 luglio 1919.
Verbale del Consiglio Comunale, proposta n. 436: “Servizio automobilistico
urbano piazza del Popolo – piazza Aracoeli”. ASC, Atti a stampa CC, vol. 122.
XIX.
21 luglio 1920.
Verbale del Consiglio Comunale, proposta n. 596: “Tramvia sotterranea
Piazza Venezia-Porta S. Paolo”. ASC, Atti a stampa CC, vol. 125.
G. ANGELERI U. MARIOTTI BIANCHI, I cento anni della vecchia Termini,
Roma, 197
G. ANGELERI A. CURCI U. MARIOTTI BIANCHI, Binari sulle strade intorno a
Roma, Roma, 1982
G. ASCARELLI, Ferrovie e tramvie nello sviluppo dei trasporti urbani ed
interurbani, in: Roma Capitale 1870 – 1911. Architettura e urbanistica. Uso e
trasformazione della città, Venezia, 1984
Azienda tranvie ed autobus del Comune di Roma. Cenni di storia aziendale,
Roma, 1990
G. BERLINGUER P. DELLA SETA, Borgate di Roma, Roma, 1976
E. BIZZARRI, Carrozze e tranvai. I trasporti pubblici romani attraverso le
associazioni di categoria, in: Il Lazio. Istituzioni e società nell’età
contemporanea (vol. I), Roma, 1993
E. BIZZARRI P. LUZZATTO A. ZANUTTI, Tempo libero e regime. Il dopolavoro a
Roma negli anni ’30, Roma, 1997
A. CARACCIOLO, Roma Capitale, Roma, 1956
A. CRISPO, I servizi pubblici di trasporto in concessione, IRCE, 1943
D. DA EMPOLI, Giovanni Montemartini (1867 – 1913) in: I
protagonisti dell’intervento pubblico, Milano, 1984
ID., Le municipalizzazioni a Roma dall’inizio del Novecento al primo
dopoguerra, in: Il Lazio. Istituzioni e società nell’età contemporanea
(vol. II), Roma, 1993
V. DE GRAZIA, Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista.
L’organizzazione del Dopolavoro, Roma-Bari, 1981
M. DE NICOLO’, I problemi della città, le scelte capitoline, in: Roma del
Duemila (a cura di L. De Rosa), Roma, 2000
V. FORMIGARI, Il filobus a Roma. Storia dalle origini e ricordi
dell’autore, Cortona, 1980
V. FORMIGARI P. MUSCOLINO, Il tram a Roma. Notizie dalle origini e ricordi
degli autori, Cortona, 1979
IDD., Le tramvie del Lazio. Notizie dalle origini e ricordi degli autori,
Cortona, 1982
IDD., La metropolitana a Roma. Notizie dalle origini e ricordi degli
autori, Cortona, 1983
L. FRANCESCANGELI, Storie di tram e di tranvieri a Roma: i servizi del
trasporto pubblico nelle fonti documentarie dell’Archivio Storico Capitolino,
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di L. Di Ruscio L. Francescangeli), Roma, 2002
G. FRIZ, Le strade nello Stato Pontificio, Roma, 1967
N. GALLERANO (a cura di), L’altro dopoguerra. Roma e il Sud 1943 – 1945,
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Documenti per la storia della Camera del lavoro (voll. 2) Roma, 1976
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