A ROMA CONOSCERE LA STORIA DI ROMA

"I LUOGHI DELLA SCIENZA E DELLA TECNICA"

CENTRI DI RICERCA MUSEI SCIENTIFICI APPLICAZIONI TECNOLOGICHE

Pagina Principale

 

- La Locomotiva e le Strade Ferrate

- LE FERROVIE DI PIO IX

 

- La Lampada Elettrica

- LA DISTRIBUZIONE DELL’ENERGIA ELETTRICA

LA  CENTRALE TERMOELETTRICA MONTEMARTINI

 

- Il Microscopio

- LA PREVENZIONE DELLE MALATTIE INFETTIVE

IL LABORATORIO BATTERIOLOGICO DELL’UFFICIO D’IGIENE

 

- Dalla Ruota Idraulica alla Turbina

- LA DISTRIBUZIONE DELL’ACQUA POTABILE

GLI IMPIANTI DI SOLLEVAMENTO DELL’ACQUA VERGINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

        La luce è una forma di energia al cui studio l’Antichità e il Medio Evo avevano prestato interesse, tanto per definire le leggi che regolano la propagazione dei raggi luminosi, quanto per comprendere la fisiologia dell’occhio umano, l’organo attraverso il quale l’uomo percepisce i fenomeni luminosi.

     Già nel III sec. A.C. le ricerche di Archimede sul fenomeno della riflessione dei raggi da parte di superfici levigate e terse, avevano portato ad applicazioni pratiche: gli “specchi ustori” con i quali  si sarebbe appiccato il fuoco alle navi romane davanti Siracusa. Nello stesso secolo Euclide, applicando il metodo geometrico allo studio della trasmissione del raggio luminoso, aveva elaborato uno strumento astratto indispensabile allo studio dei fenomeni ottici e alla realizzazione di esperienze e strumenti concreti.

        La pratica e la teoria della visione si svilupparono nel Medio Evo a partire dal perfezionamento della lente, prodotto probabilmente del raffinamento delle tecniche impiegate nelle botteghe dei maestri vetrai per la costruzione delle vetrate delle cattedrali gotiche.

      Invenzione di pratica applicazione per la produzione degli occhiali, con l’uso di due lenti convesse, in base alla conoscenza delle leggi della rifrazione, gli ottici olandesi nel 1608 misero a punto un prototipo del cannocchiale. Lo strumento perfezionato da Galileo, permise allo scienziato italiano di osservare l’immagine ingrandita di lontanissimi corpi celesti e dare solide basi sperimentali alla teoria copernicana.

      Più tardo fu invece lo sviluppo e il perfezionamento dello strumento complementare al cannocchiale: il microscopio,  con cui si rendeva possibile ottenere immagini ingrandite di oggetti molto piccoli e spesso invisibili ad occhio nudo. Costituito da un sistema di lenti - l’obiettivo rivolto all’oggetto da esaminare  e l’oculare a cui si avvicina l’occhio, montato su un tubo regolabile con un meccanismo a cremagliera – nel microscopio composto  l’oggetto è collocato a una distanza dall’obiettivo maggiore della distanza focale. Si forma dunque un’immagine reale (capovolta) e ingrandita che  cade  tra la lente oculare e il suo proprio fuoco: l’occhio vede l’immagine virtuale di quella reale, perciò sempre capovolta, ma ulteriormente ingrandita.

         Noti fin dalla fine del sec. XVI, i microscopi composti furono perfezionati fra gli altri dallo stesso Galileo e dal fisico e naturalista inglese Robert Hooke (1635 – 1702). Questi, per l’osservazione  delle strutture a cui aveva dato il nome di “cellule”, ne  mise a punto un prototipo in cui l’illuminazione del reperto, che per essere ben visibile deve essere fortemente  illuminato,  era assicurata da una lampada ad olio. Ma le immagini ottenute erano confuse, quindi per altri duecento anni i ricercatori continuarono ad usare il microscopio semplice, ovvero la comune lente d’ingrandimento: collocando l’oggetto ad una distanza dalla lente biconvessa minore della distanza focale, l’occhio percepisce un’immagine virtuale diritta e fortemente ingrandita.

        L’avanzamento degli studi  di biologia cellulare e di microbiologia avrebbero comunque posto all’ordine del giorno la necessità di disporre di più perfezionati strumenti di ricerca. Nel 1830 Joseph Lister, padre del famoso chirurgo inglese, riuscì finalmente a costruire un microscopio ad alto ingrandimento che forniva un’immagine molto più chiara: di questo si servì Louis Pasteur (1822 – 1895) per realizzare le sue scoperte sui batteri e i microrganismi, da lui chiamati “microbi”.

        Il fondatore della microbiologia moderna e i medici del suo tempo si erano resi conto che alcune malattie, come la rosolia e la rabbia, dovevano essere generate da alcuni germi che i microscopi allora in uso non riuscivano a vedere: nel 1940, in America, sarebbe stato messo a punto il più potente microscopio elettronico. Con l’utilizzo di forti fasci di elettroni al posto della luce si rendeva possibile l’osservazione dei virus, microrganismi di proporzioni infinitesimali, al limite della natura vivente.